Superlega, la parabola del calcetto

La Superleague – da ieri Superleave – spiegata magistralmente da Marco Auciello, che non so chi sia ma possiede lo spirito dell’illuminante: «Agnelli ha vissuto la stessa parabola che abbiamo vissuto tutti noi per organizzare un calcetto infrasettimanale. Fase 1 (ore 10-15): raccogli più di 10 adesioni estemporanee (segnatamente, 12), hanno tutti un certo entusiasmo; fase 2 (16-18.30): iniziano i primi sondaggi negativi (pioggerellina – freddo – qualche linea di febbre – dolori muscolari: «sai, mi fa ancora male», mieroscordatoilcompleannodimiocugggino); fase 3 (18.30-19.30): ti appende il fatidico “decimo”, cerchi disperatamente di sostituirlo contattando anche gente che non sentivi dai tempi del catechismo; fase 4 (19.30-20): altri 3-4 player stavano aspettando la scusa del decimo per appenderti in una curva, senza appello (vedi motivazioni sub fase 2); fase 5 (20.15-20.20) «Mi arrendo. In sei è impossibile».

L'addio alla Superlega sulle prime pagine: "Vittoria dei tifosi"

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L’addio alla Superlega sulle prime pagine: “Vittoria dei tifosi”

Ci sarebbe da ridere, se non fosse che i dodici reclutati per il supercalcetto sono i proprietari o i top manager del grande calcio. Confesso che se questa storia me l’avessero raccontata non ci avrei creduto: in 48 ore da viva la revoluciòn a fatela ma senza di noi. Il gotha del calcio mondiale ha mostrato una sprovvedutezza e un’arroganza inimmaginabili, occhio però a separare i cattivi dai buoni: i buoni oggi si trovano solo alla cassa della Coop.

Adesso Fifa e Uefa, che hanno esibito i muscoli, passano per trionfatrici, ma se si è giunti a questo punto lo si deve in particolare alla pessima gestione degli ultimi vent’anni. Le istituzioni devono stabilire un ordine, fondare, regolare. Organizzare eventi che generano enormi ricavi ridistribuiti in buona parte con finalità politico-elettorali non può diventare l’attività principale. Governare con serietà, responsabilità e fermezza ha certamente un prezzo, non produce consensi, non porta voti. Ma è un dovere.

I calciatori giocano troppe partite

Un buon governo avrebbe senz’altro moderato gli effetti della crisi. E l’attenzione ai comportamenti di tutti gli interpreti coinvolti avrebbe evitato il diffondersi di un disarmante senso di illegalità. Nessuno ha provveduto a ridurre il numero delle partite, in particolare quelle prive di un reale valore sportivo, poiché c’era sempre un interesse politico a consigliarne lo svolgimento. Nessuno si è preoccupato del fatto che, giocando troppo, i calciatori rischiano di infortunarsi con maggiore frequenza e hanno meno tempo per allenarsi e recuperare la migliore condizione, penalizzando in tal modo lo spettacolo: penso al Bayern e a Lewandowski, impossibilitato a giocare le partite più importanti della stagione, i quarti di Champions con il Psg, a causa dell’infortunio occorsogli nell’indimenticabile Polonia-Andorra.

I compiti di Fifa e Uefa

I politici di tutta Europa, che hanno immediatamente fiutato l’aria e mosso durissime critiche al progetto Superlega, mostrino la stessa sensibilità spingendo Fifa e Uefa a limitare l’attività di impresari (con attori pagati dai club) per concentrarsi sul compito primario: regolare il mondo del calcio. Servono una nuova visione e norme aggiornate, e forse anche qualche uomo nuovo. Altro esempio: sento ripetere da anni che il male del calcio sono i procuratori. Ma nel 2015 si è preferito abolire l’albo degli agenti piuttosto che dedicare uomini e energie alla ridefinizione dei confini operativi, attraverso un confronto con gli interessati. Ho esordito con Auciello e chiudo con Bukowski: «Ero alla bancarotta, il governo era alla bancarotta, il mondo era alla bancarotta. Ma chi cazzo li aveva, i fottuti soldi?».

Pirlo: "Super League? Non ho altro da dire..."

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Pirlo: “Super League? Non ho altro da dire…”

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