Venezia-Cittadella, la sfida degli opposti che vale un posto in Serie A

Tradizione, allenatori, rose e filosofia: la finale playoff tra le due città distanti un’ora d’auto è il confronto tra due filosofie lontanissime. Ecco perché

Così vicini, così diversi. Venezia e Cittadella sono a un passo dalla Serie A, categoria un tempo habitat della prima e orizzonte mai esplorato per la seconda. Ma, per quanto le due siano distanti poco più di un’ora di macchina, è difficile trovare due realtà più diverse l’una dall’altra. Da sempre: una è stata per anni la Repubblica più potente dell’Adriatico, centro politico e culturale con lo sguardo rivolto a Oriente. L’altra, invece, nasce come borgo fortificato, con tanto di mura e fossato. La storia calcistica, se possibile, è ancora più diversa: da un lato la forza pacifica della tradizione e della continuità, dall’altro un turbinio infinito di cambiamenti, ribaltoni, cadute e rinascite (la Fenice vi dice niente?). Un blocco compatto di giovani italiani da una parte, un elettrico melting pot dall’altra. Nel secondo derby veneto in tre anni in una finale playoff (nel 2019 fu Verona-Cittadella) c’è tutto questo, ma non solo.

Continuità e cambiamento

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La storia del Cittadella è abbastanza giovane, visto che il club è stato fondato nel 1973 dall’unione di due squadre cittadine, e ha sempre avuto una sola proprietà. Il club, infatti, è da sempre un affare dei Gabrielli, famiglia di imprenditori del settore siderurgico. Primo presidente fu Angelo, fondatore dell’azienda e “architetto” della fusione tra Cittadellese e Olympia, rimasto in carica fino alla sua morte nel 2009. Da allora, quel posto è occupato dal figlio Andrea, che guida il club da più di un decennio. Ancora più impressionante è l’elenco degli allenatori degli ultimi 25 anni, dal 1996 a oggi: quattro. Sì, quattro: Ezio Glerean, con cui il club è arrivato per la prima volta in B nel 2000. Rolando Maran, in panchina dal 2002 al 2005. Claudio Foscarini, autore della seconda promozione in B nel 2008 e capace di portare per la prima volta il club ai playoff, nel 2009-10, rimasto al suo posto fino al 2015. E poi Roberto Venturato, allenatore della terza promozione nel 2016 e sempre agli spareggi promozione. L’ultimo esonero risale al 1995/96, quando a Gesualdo Albanese subentrò Dino D’Alessi. Ecco, quattro allenatori il Venezia li ha avuti solamente tra il 2018 e il 2019. La storia del club del capoluogo è decisamente più movimentata, tra continui cambi di nominazione (se ne contano ben nove) ai passaggi di proprietà: dai fasti degli anni ’40, con la conquista della Coppa Italia, al declino negli anni ’70, culminato con la Serie D, fino alla prima rinascita con Maurizio Zamparini come presidente. La Serie A ritrovata dopo 32 anni nel 1998, poi i tre fallimenti tra il 2005 e il 2015 e il ritorno in B nel 2017, con Tacopina. Con Inzaghi in panchina centra quinto posto e playoff, ma già nel 2018-19 retrocede dopo aver perso i playout, per poi essere riammesso. Dal ritorno in cadetteria a oggi il Venezia ha cambiato allenatore ogni anno: dopo SuperPippo è stato il turno del trio Vecchi-Zenga-Cosmi (2018-19), Alessio Dionisi (2019-20) e ora Paolo Zanetti, già conteso da club di A. Diciamo che al Penzo non ci si annoia mai.

Autarchia e internazionalismo

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Salta poi all’occhio la differenza nella composizione delle rose: nel Cittadella c’è un solo straniero, il portiere albanese Elhan Kastrati, mentre Marco Rosafio, Roberto Ogunseye e Frank Tsadjout hanno la doppia cittadinanza (svizzera, nigeriana e camerunese). Per il resto, quella del Citta è una rosa composta solamente da italiani, la maggior parte dei quali pescati dalle categorie inferiori ed esplosi in B proprio al Tombolato. È il caso di Baldini, mattatore del Monza all’andata, e di Proia, autore del gol-vittoria contro il Brescia nel turno preliminare. Ma anche gli stessi Rosafio e Ogunseye, presi dalla D e dalla C, oltre a uno dei centrocampisti più prolifici del campionato, Mario Gargiulo, acquistato dall’Imolese. La lista potrebbe continuare per ore, anche a ritroso negli anni. Quella del Venezia è invece una rosa molto più multietnica: cinque sono scandinavi, tra cui i protagonisti Maenpaa (finlandese) e Johnsen (norvegese). Due hanno origini asburgiche, cioè l’austriaco Svoboda e lo sloveno Crnigoj, mentre la manovra è affidata al francese Taugourdeau. Fondamentale anche il blocco italiano, dal capitano Modolo ad Aramu e Forte, passando per il gioiellino Maleh, ma è un fatto che negli spogliatoi del Penzo lingue e tradizioni si mescolino in un mix finora vincente.

Capoluogo e provincia

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Diverso è anche il rapporto reciproco con le realtà calcistiche limitrofe: da un lato, la necessità di unirsi a una squadra più piccola dello stesso comune, dall’altro una crescita esponenziale che ha portato la “piccola” a rendersi sempre più indipendente dal suo centro di riferimento. Nel 1987, in un periodo durissimo passato prevalentemente in C2, Maurizio Zamparini decide di unire il suo Venezia con il Mestre, altro club cittadino. Dalla fusione nasce l’Associazione Calcio Venezia-Mestre, che si trasferisce dallo stadio Penzo (dove gioca ancora adesso) al “Francesco Baracca” di Mestre, sulla terraferma. La squadra incorpora, oltre ai migliori giocatori delle due formazioni, anche il colore arancio, e passa dal neroverde all’attuale arancioneroverde. La fusione però non va giù a molti, né da una parte né dall’altra, e in entrambe le realtà nascono altre squadre “antiunioniste”. Con la promozione in B del 1991 il Venezia torna al Penzo, che non lascerà più. Il Cittadella è invece stato per anni una delle tante squadre della provincia di Padova, una delle “piccole” che bazzicano tra terza, quarta e quinta serie. Le cose iniziano a cambiare nel 2000, anno della prima promozione in Serie B: la società cambia il nome in Cittadella Padova e gioca per due stagioni allo Stadio Euganeo, prima di tornare al Tombolato nel 2002 e riprendere la denominazione originaria due anni dopo. Negli anni, però, il Cittadella riesce ad affrancarsi sempre di più dal suo capoluogo, affermandosi come realtà a sé stante e imponendosi come una delle migliori squadre della B: non più “una squadra della provincia di Padova”, ma “Il Cittadella”, spesso e volentieri con risultati migliori della formazione del capoluogo.

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