Napoli, Mertens a San Siro sfida l’ultimo tabù

di Antonio Giordano

NAPOLI – Ombre a San Siro: che si stagliano – e vai a capire come – tra le luci abbaglianti di centotrentuno reti. Dev’essere il «miedo escenico», direbbe Garcia Marquez, o forse no, semplicemente una pura, fastidiosa coincidenza: oppure, c’è dell’altro, il destino cinico e baro che appena il 16 dicembre scorso gli ha rovinato per un bel po’ una caviglia sinistra e l’ha lasciato a bordo campo, pensieroso e amareggiato, per tre mesi, undici partite intere e qualcun’altra sfruttata per capire se fosse passata la nottata. Come smarrirsi, dentro uno stadio fascinoso e seducente, è più semplice di quanto possa sospettarsi: e Mertens, che a San Siro non è ancora mai riuscito a segnare, insegue la scappatoia per sfuggire all’ansia del labirinto. La sua stagione “orribile” offre, a prescindere, ancora tredici chance e per non starsene immalinconito, Mertens si tuffa immediatamente in quel San Siro che gli è apparso ostile: ci ha giocato complessivamente per sedici volte, equamente divise tra sfide al Milan e all’Inter, e mai una gioia.

A causa dell’infortunio, Dries è ai minimi storici per gol e assist

E però questo è un anno diverso, quasi indigesto, insolito per chi – da quando ha scoperto la sua nuova vita da centravanti – si è abituato a fare il fenomeno: i sei gol (con sette assist), rappresentano il suo minimo storico e stridono con la tendenza di un attaccante che è andato sempre in doppia cifra, giocando da esterno o anche da centravanti. Mertens è la sottile linea d’una frontiera che separa il tridente (nel quale si sente come a casa sua), dal 4-2-3-1 (nel quale ondeggia più faticosamente, soffocando la propria naturalezza a galleggiare tra le linee): e però anche stavolta, in un Milan-Napoli che sa di Champions, tocca dall’inizio di nuovo a lui, proprietario d’un testimone pronto ad essere ceduto ad Osimhen per una staffetta che sembra ormai appartenere ai riti di questa era del calcio del turn-over.

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