Filippo Galli ricorda Visin: “Intelligenza e sensibilità superiori alla media”

L’allora responsabile del settore giovanile del Milan: “Sono sconvolto. Era un ragazzo sorridente ed educato, ma anche molto timido”. L’ex coordinatrice psicopedagogica: “Lo seguivamo, sport e vita sono un legame indissolubile”

La lettera di Said Visin è un cazzotto nello stomaco. Roba da togliere il respiro perché se già di per sé è una tragedia la morte di un ragazzo di 20 anni, in questo caso si aggiunge l’aggravante del razzismo come agghiacciante innesco per dire basta alla vita. “Ovunque io vada, ovunque io sia, sento sulle mie spalle come un macigno il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone – ha scritto il ragazzo nella lettera pubblicata dal Corriere della Sera –. Avevo paura per l’odio che vedevo negli occhi della gente verso gli immigrati”.

Sorrisi e timidezza

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Lui etiope, genitori adottivi italiani di Nocera Inferiore. Da lì il grande salto a Milano, sponda rossonera, nel vivaio del Diavolo. Un sogno per chiunque in un’età – quella fra i 13 e i 15 anni – nella quale i progetti sportivi possono rivelarsi fragili come il carattere, che si sta ancora formando. Said nel Milan ha giocato nelle squadre Under 15 e Under 16, a un certo punto si è anche ritrovato a condividere la stanza con il predestinato Donnarumma. Una vita lontana centinaia di chilometri da casa, come d’altronde capita a tanti ragazzi (e ragazzini) che inseguono il sogno di giocare a San Siro. E, proprio per questo seguiti anche dal punto di vista psicologico. Perché è una vita da adulto con il corpo e la testa di un adolescente.

Filippo Galli, ora dirigente a Parma e all’epoca responsabile del settore giovanile rossonero, fatica a trovare le parole: “Sono sconvolto. Lo ero dopo aver saputo della sua morte, ma adesso ancora di più dopo la lettera. Devo dire che all’epoca non mi risulta ci fosse qualcosa che covava sotto la cenere in termini di tematiche razziste, però Said presentava alcuni connotati di fragilità, di cui si occupava l’area psicopedagogica del club. Era un ragazzo sorridente e allo stesso tempo timido e abbastanza chiuso, con un’intelligenza e una sensibilità superiori alla media. Molto educato. Era arrivato da noi da Nocera attraverso lo scouting, poi ci aveva lasciato per andare al Benevento. Ciò che è successo ci obbliga a porci molte domande, anche sulle modalità dell’approccio ai ragazzi per chi opera nel nostro ambiente”.

Colloqui

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A un certo punto Said ha capito che il suo futuro non sarebbe stato in rossonero, e nemmeno a San Siro. Nel quadro generale può aver influito anche questo, sebbene il Milan lo abbia seguito sotto tutti gli aspetti. Caterina Gozzoli, docente alla Cattolica, in quegli anni era la responsabile scientifica del progetto psicopedagogico avviato dal club con la sua università. Dove l’ambito psicologico era parte integrante nell’approccio – in campo e al convitto – ai giovani calciatori, in particolare per chi arrivava da fuori. Perché a quell’età non si può pensare a un ragazzo soltanto come un calciatore. “Said è un esempio drammatico da cui apprendere, una volta di più, l’importanza di trattare i ragazzi nella loro complessività. Said era molto sensibile e intelligente – conferma Gozzoli –: questo da un lato l’ha aiutato a capire che cosa stava accadendo, dall’altro gli ha fatto vivere una dimensione emotiva profonda. Abbiamo fatto una serie di colloqui per affrontare tutto questo. Le questioni più importanti riguardavano le sue origini, la lontananza da casa e l’obiettivo di diventare un calciatore del Milan, che a un certo punto è sfumato. Lo abbiamo aiutato nella elaborazione di tutto ciò perché persone, sport e vita si intrecciano e diventano corpi indissolubili. Adesso, come possiamo non interrogarci: ciascuno di noi, ha fatto al meglio ciò che poteva?”.

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