Serie A, la svolta: ora i club rivogliono le multiproprietà

Sulla riforma del calcio c’è chi sente odore di bruciato. Qualcuno ha addirittura il sospetto che portarla per le lunghe sia una strategia per screditare la politica presidenziale (Gravina sul tema si è giocato faccia e futuro) anche agli occhi del governo, visto che a richieste come il prelievo sulle scommesse, l’abolizione del decreto dignità e la tax credit sulle infrastrutture poi dovrà rispondere Palazzo Chigi. Nelle intenzioni di Gravina la riforma è già stata scorporata in questioni economiche urgenti e format dei campionati (se ne parlerà più avanti, e chissà quando) e anche il rinvio dell’assemblea dell’11 marzo viene letto come un segnale distensivo per evitare ulteriori scontri. Eppure, la Serie A ieri ha ribadito due sue proposte inserite nel documento deliberato nell’ultima riunione di Lega, che molti consideravano (erroneamente) superate dal nuovo clima di apparente collaborazione: la reintroduzione delle multiproprietà e la modifica della norma sugli extracomunitari. 

I club e la questione proprietà

Durante il tavolo sulla riforma a Roma, il n.1 della Serie A Casini ha infatti evidenziato l’importanza della proprietà, «anche in quota di minoranza», di altre squadre nelle serie inferiori per evitare che alcuni presidenti siano costretti a gestire un numero extralarge di esuberi, anche considerando la difficoltà nell’avere una seconda squadra (bisogna pur sempre sperare che qualcuno in C fallisca e in B non le vogliono) e il limite Fifa che dal 1 luglio farà scendere a 6 il numero massimo dei prestiti. Le multiproprietà nel professionismo però sono abolite e la situazione da sanare dei De Laurentiis (Napoli e Bari) ha già un termine ultimo fissato al 2028-29. Nei giorni scorsi si è parlato di un interessamento di Lotito al Barletta (per il senatore solo voci infondate) e la prossimità tra questa vicenda e la richiesta della Lega, che vede il laziale punto cardine della maggioranza, appare quantomeno curiosa; Lotito oggi potrebbe acquistare una società di Serie D, ma in caso di promozione si troverebbe nella stessa situazione del 2021 con la Salernitana.  

Dibattito aperto

Sugli extracomunitari la A ha evidenziato come la norma italiana sia la più restrittiva: ogni anno un club può acquistarne due ma con l’obbligo di sostituzione di uno dei due arrivi. Anche la B spinge per aumentare il numero, ma l’argomento non scalda i cuori federali. Al tempo stesso, il massimo campionato ritiene non congrua la proposta del 6+6 sulle liste (6 calciatori formati nel vivaio e 6 cresciuti nel Paese) in sostituzione del 4+4 del modello Uefa. Vanno poi ancora chiarite le ricadute della sentenza della Corte Ue che descrive il parametro dei “local” una «discriminazione indiretta». Gli aspetti economico-finanziari della riforma, cioè i paletti più rigidi con l’orizzonte 2030 come l’indice di liquidità a quota 1, il nuovo indicatore di indebitamento e quello del costo del lavoro allargato, non sono stati ancora approfonditi. Le componenti si sono limitate a recepire gli input federali per approfondirli nei prossimi incontri: l’assemblea di oggi della Lega Pro, quella di lunedì di A e il consiglio direttivo di B dei prossimi giorni. Uscendo dalla Federcalcio, il presidente della seconda lega Balata ha detto che «spostare risorse sulle competizioni sovranazionali a scapito dei campionati è pregiudiziale alla riforma». Martedì 27 febbraio, il 6 e forse anche il 13 marzo le leghe si ritroveranno in Figc, il 28 si terrà invece il consiglio federale. Gravina cerca una svolta: un mese per venirne a capo, non oltre.  


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Precedente Bayern Monaco, ufficiale la clamorosa decisione su Tuchel Successivo RISULTATI SERIE C, CLASSIFICA/ Il confronto tra le due Under 23, diretta gol live score (21 febbraio 2024)