Rossini, ex Atalanta: “Ora gestisco un’azienda di cosmetici. In futuro…”

Un passato dedicato al gioco che i piedi fanno diventare arte, un presente all’insegna delle mani e della conservazione della loro bellezza. Poi un compleanno unico che non ha smesso di festeggiare. Fausto Rossini ha 44 anni e segue ancora il calcio

Simone Lo Giudice

19 agosto

Cosmetici, fratelli Inzaghi, Dea vs Diavolo

Un fantastico via vai di aerei sulla sua testa. Un’immagine già vista vent’anni fa, quando il rombo del motore annunciava una nuova partenza della sua Atalanta. Dopo il calcio giocato Fausto Rossini è rimasto vicino all’Aeroporto di Orio al Serio, dove è arrivato quando era solo un ragazzo. Rossini è un uomo e un marito che gestisce con la moglie un’azienda di cosmetici, il suo nuovo mondo dopo quello del pallone. Per l’ex attaccante l’Atalanta è stata come una madre, Walter Novellino come un padre. Al fianco dei fratelli Inzaghi ha giocato con passione, a Catania si è tolto una soddisfazione grande. Rossini ama ancora il calcio e non esclude di tornare a metterci mani e piedi.

Fausto, com’è nata l’idea di investire in un’azienda di cosmetici?

Ricordo che stavo per smettere di giocare perché non ce la facevo più. La famiglia di mia moglie operava già in questo settore così abbiamo deciso di aprire un ramo tutto nostro dedicato alle mani e alle unghie. Abbiamo cominciato da zero.

Di che cosa si occupa lei?

Abbiamo due società: quella di mia moglie detiene il marchio MI-NY e vende in Italia, la mia Rosso 20 si occupa della distribuzione all’estero. Abbiamo iniziato con negozi al pubblico nelle principali città italiane: Milano, Torino, Bergamo, Como, Bologna, Parma, Venezia, Vicenza. Prima che scoppiasse la pandemia abbiamo scelto di buttarci meno sul privato e più sui professionisti. Abbiamo intensificato la distribuzione all’estero e in Italia servendo centri estetici. Esistono un nostro sito e-commerce e un negozio a Como, l’unico rimasto.

Qual è la vostra base?

Azzano San Paolo di fronte ad Orio al Serio. Appena esci dall’aeroporto, oltre l’autostrada c’è il nostro capannone. Passavo spesso da queste parti con l’Atalanta quando partivo per andare in trasferta oppure quando rientravo a Bergamo.

Lei ha dedicato la sua vita ai piedi, oggi si è spostato sulle mani: è strano?

Inizialmente sì, anche se il mio distacco dal calcio non è stato terrificante. Mi mancano la partita e lo spogliatoio, il gioco e il pubblico. Tutto il resto non mi manca per niente.

Quale partita l’è rimasta nel cuore?

Milan-Atalanta del 2 marzo 2003 quando ho segnato una doppietta a San Siro nel giorno del mio compleanno. Ricordo di aver fatto il gol numero 2000 nella storia della Sampdoria e poi la storica salvezza del Catania con la mia rete al Chievo nel campo neutro di Bologna.

C’erano sportivi nella sua famiglia?

Mio padre ha fatto il calciatore a livello amatoriale, ma prendeva più cartellini rossi che altro. Io sono stato il primo ad arrivare a certi livelli. Sono andato via di casa presto. Ho fatto la terza media a Montecatini Terme vivendo in albergo, allora giocavo nel Margine Coperta. Dall’anno della prima superiore in poi mi sono trasferito a Bergamo dove sono rimasto per dieci anni: cinque nel settore giovanile, cinque con la prima squadra.

Lei è originario di Grosseto: ormai si sente più bergamasco che toscano?

Sì, ma quando torno a casa mi basta una mezz’oretta per riprendere il mio accento. L’ho perso un po’ avendo girato così tanto per l’Italia nel corso della mia carriera da calciatore.

Che cosa ha l’Atalanta di speciale rispetto alle altre realtà calcistiche italiane?

Ai miei tempi il settore giovanile bergamasco gestito da Mino Favini era il più importante d’Italia. In uno dei primi anni di Serie A con Giovanni Vavassori in panchina ricordo che sette su undici provenivano dalle giovanili. Oggi è diverso: penso a Cesare Casadei che lascia l’Inter a 19 anni per andare all’estero. La mia Atalanta impiegava i giovani in prima squadra prima di venderli. Oggi mi viene in mente solo Giorgio Scalvini. Le ambizioni del club sono alte e probabilmente servono giocatori già pronti.

Lei ha giocato con i fratelli Inzaghi: come vivevano il ritiro? Erano simili?

Ho esordito con l’Atalanta 1996-97 in Serie A al posto di Pippo con Emiliano Mondonico in panchina, in quella squadra c’erano Domenico Morfeo, Gianluigi Lentini e Paolo Foglio. Ho giocato con Simone per quattro mesi alla Sampdoria: era arrivato dalla Lazio nello scambio con Fabio Bazzani. Tecnicamente era più bravo Simone, ma il fiuto del gol di Pippo non ce lo aveva nessuno. Caratterialmente erano simili.

Ricorda un aneddoto legato a Pippo?

Nelle partitelle non c’era il fuorigioco, Pippo si metteva vicino al palo e quando arrivava la palla buona la girava in porta ed esultava in allenamento. Segnare era la sua droga e lo è stato negli anni successivi. Pippo era come un almanacco: se gli chiedevi chi aveva segnato un gol decisivo in una qualsiasi partita del ’93 lui lo sapeva. Gli Inzaghi vivevano di calcio.

L’ha sorpresa vedere Simone più avanti rispetto a Pippo in panchina?

Forse Simone ha incontrato situazioni più semplici da gestire. Una squadra come il Milan deve vincere per forza, se non succede vieni messo in discussione: ed è quello che è capitato a Pippo. Alla Lazio, pur essendoci un presidente particolare come Claudio Lotito, magari hai più possibilità di sbagliare. Simone ha avuto più tempo per crescere rispetto a Pippo.

Ha fatto qualche pazzia per la “sua” Atalanta nelle ultime stagioni?

Non vado allo stadio da un po’, ma la seguo. Ne parlo spesso come ospite in televisione. Vado a “SeilaDea” su Seilatv: guardiamo la gara e la commentiamo. Domenica ci sarò per Atalanta-Milan. La Dea è cresciuta con Gian Piero Gasperini. Al suo primo anno ha iniziato con risultati deludenti, poi ha rischiato puntando sui giovani e sul gioco e ha avuto ragione.

Come vede questo Atalanta-Milan?

Il  Milan è favorito perché è campione d’Italia. Pesano anche le cessioni fatte dall’Atalanta: Remo Freuler era un pezzo importante. Il mercato della Dea non è decollato, però ci sarà qualche colpo. Luca Percassi conosce il calcio e ha fiuto. Penso a Teun Koopmeiners, uno degli ultimi acquisti più convincenti del club. L’Atalanta prende giovani bravi già pronti. 

Ne è passato di tempo da Atalanta-Milan 5-0 del 22 dicembre 2019…

Molto, dopo quella partita il Milan è cambiato. Non ha giocatori forti come in passato, ma  ha trovato un bel gruppo: basta per fare la differenza. Il club punta su giovani di talento come Rafael Leão, che ha fatto un salto di qualità strepitoso negli ultimi anni. L’arrivo di Zlatan Ibrahimovic ha fatto bene ai rossoneri perché serviva un giocatore chioccia nello spogliatoio, un uomo d’esperienza che sapesse parlare con i ragazzi nel modo giusto per aiutarli a crescere.

Non giocare le coppe europee può essere un vantaggio per l’Atalanta?

Non saprei. Negli anni precedenti vinceva perché giocava meglio e andava più forte degli altri. L’anno scorso è calata dal punto di vista atletico. Giocando di meno potrà riposare di più. Deve ritrovare il gioco che faceva due anni fa sulle fasce laterali: Robin Gosens andava come un treno, Hans Hateboer stava bene. Avere gli esterni in forma è fondamentale.

L’Atalanta è stata sorpassata dalla Fiorentina andata in Conference League…

I viola mi hanno sorpreso per l’ottimo campionato. Vincenzo Italiano è un buon allenatore. Abbiamo giocato insieme nelle nazionali azzurre giovanili. Lo ricordo come compagno, in panchina sembra un altro. Ha un’idea di gioco brillante, i suoi ragazzi lo seguono e si vede.

Se l’Atalanta avesse eliminato il Psg ai quarti di Champions League nel 2020 la sua storia sarebbe cambiata?

Sicuramente sì, giocare una semifinale sarebbe stato storico. A cinque minuti dalla fine sembrava fatta. L’Atalanta non meritava di uscire, poteva andare almeno ai supplementari. L’esperienza e il talento dei campioni strapagati del Psg però hanno fatto la differenza.

Papà Novellino, il modello Pinamonti, il sogno Como

Abbiamo parlato di Gasperini: chi è l’allenatore che la ha insegnato di più?

All’Atalanta Giovanni Vavassori, che ho avuto prima nelle giovanili e poi in prima squadra: un mister un po’ burbero, ma molto grintoso che sapeva darmi gli stimoli giusti. A livello umano sentivo di avere la sua fiducia. Poi penso a Walter Novellino alla Sampdoria. Al mio arrivo ero il quarto attaccante: davanti a me c’erano Francesco Flachi, Fabio Bazzani e Vitali Kutuzov. Il mister lavorava molto a livello tattico. A fine allenamento mi prendeva da parte per provare qualche altro movimento. Ricordo le sue pacche sulle spalle. Con lui ho fatto registrare il mio anno di Serie A con più presenze. Anche quando ero acciaccato la sua fiducia nei miei confronti era totale. Ci sentiamo ancora, mi è rimasto nel cuore.

La sua carriera è stata condizionata dagli infortuni: con un fisico più integro avrebbe potuto fare qualcosa in più?

Penso di sì, lo dico senza presunzione. Senza i problemi fisici la mia carriera sarebbe stata diversa. Un po’ di rammarico c’è. Però non mi lamento. Mi sono tolto tante soddisfazioni, mi sono divertito un sacco e rifarei tutto quello che ho fatto.

C’è un attaccante italiano di oggi in cui si rivede?

Andrea Pinamonti ha fatto un grande campionato. Mi piace Gianluca Scamacca per caratteristiche fisiche e visione della porta. Se devo scegliere un attaccante dico Duván Zapata. Sa tenere impegnata tutta la difesa avversaria e aiutare in fase difensiva. Uno come Zapata è fondamentale per ogni allenatore.

Abbiamo parlato di Como: in città si parla di Cesc Fàbregas e dell’obiettivo promozione?

Purtroppo ci vado una volta al mese, non conosco bene gli umori della città. Ho giocato lì negli ultimi due mesi della mia carriera nel 2010-11. Venivo da un brutto infortunio,  ho provato a ripartire, ma non c’è stato niente da fare. Con l’avvento della nuova proprietà sono arrivati i soldi. Rivedremo il Como in Serie A nei prossimi due-tre anni. Mi ricorda il Monza. Quando hai una dirigenza solida e un portafoglio importante arrivi all’obiettivo. Lo stadio è vicinissimo al lago. Como è piccola, ma molto bella.

Lei ha avuto un’esperienza da allenatore: che cosa non è andato?

Ho guidato per quattro mesi gli Allievi della Trevigliese, una squadra dilettante nei dintorni di Bergamo. Mi ha voluto il responsabile degli allenatori Ernesto Modanesi che conoscevo dalle giovanili dell’Atalanta. Sul campo è andata benissimo: ricordo che eravamo terzi in classifica con la migliore difesa del campionato. Purtroppo c’erano mancanze a livello organizzativo e questo mi ha spinto a lasciare. Nel frattempo stava prendendo piede l’azienda con mia moglie, ho scelto quello che mi dava più certezze.

In futuro potrebbe tornare ad allenare?

Non lo escludo, però è molto difficile perché sono fuori dal giro quasi da dieci anni. Il mio amico Francesco Flachi  vorrebbe rientrare, ma fa fatica dopo dodici anni di squalifica. Bisogna restare attaccati all’ambiente dopo aver smesso. 

Ha un hobby a parte seguire il calcio?

Mi rilasso guardando film e serie tv. La mia attività principale è stare dietro alle bambine. Sono rientrato da Londra dove la più grande ha fatto uno stage nel mondo del musical. La più piccola ha 6 anni e gioca a tennis. Passo il mio tempo libero con loro.

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