Roque Junior: “Che ricordi in finale di Champions! Sulla ‘mezzaluna’ di Ronaldo…”

Papà arbitro, la mezzaluna di Ronaldo nel 2002

Un padre col fischietto in bocca, un bambino tutto orecchie sempre al fianco, un calcio spesso in mezzo alla polvere e forse, proprio per questo, ancora più vero. Roque Junior ha cominciato così. È partito dal nulla, ha stretto i denti fin da ragazzino e si è andato a prendere tutto ciò che voleva. Nel 2002 ha festeggiato la vittoria del Mondiale al fianco di Ronaldo. Nel 2003 Roque Junior ha stretto ancora i denti, questa volta in finale Champions League e da infortunato ha trionfato con il Milan nel Teatro dei Sogni, dopo aver passato una serata intera con l’incubo di non farcela fino al fischio finale. Oggi ha tante medaglie tra le mani e nessun rimpianto nel cuore, dove invece culla un nuovo grande desiderio da realizzare.

Roque Junior, che cosa fa oggi nella vita?
Continuo a lavorare nel calcio. Ho seguito i corsi Uefa B e Uefa A per allenare in Italia a Coverciano, ho preso anche le licenze in Brasile. Poi ho frequentato tre-quattro corsi per fare il direttore sportivo. Dopo il ritiro ho allenato due squadre in Serie A nel campionato dello Stato di San Paolo. Ho lavorato per due anni come direttore sportivo in un piccolo club che gioca il campionato dello Stato di San Paolo in Serie A e il campionato brasiliano in Serie D. Per il Mondiale 2014 ho fatto scouting per la nazionale brasiliana. Questa è stata la mia vita negli ultimi dieci anni. Oggi voglio restare nel calcio come direttore sportivo.

Lei ha avuto anche un’esperienza alla Lazio dopo il calcio: com’è stata?
Alla Lazio non ho lavorato: si è trattato di un internship. Conoscevo il direttore delle giovanili, l’olandese Joop Lensen, che mi ha invitato per stare un po’ di tempo a Roma. Il periodo di formazione è durato sei mesi, poi sono ritornato in Brasile.

Lei ha smesso di giocare dieci anni fa: le manca il calcio giocato?
Non mi manca giocare perché continuo a stare dentro il calcio. Ho giocato tanto nella mia vita, ho lasciato la mia casa a 14 anni per fare il calciatore. Ho giocato fino a 34 anni, la mia carriera è durata vent’anni. Ho vissuto grandi esperienze. In Brasile ho giocato in una grande squadra come il Palmeiras con cui ho vinto tanti titoli. Poi sono stato in Italia, in Germania e in Inghilterra. Ho giocato e vinto con la Nazionale. Era il mio sogno di bambino. Giocare non mi manca. Mi piace fare calcio. Continuerò a lavorare sodo per questo.

Lei era l’unico sportivo in famiglia? Come è nato il suo amore per il calcio?
Nessuno nella mia famiglia è riuscito a fare il professionista, io sono stato il primo. Mio padre faceva l’arbitro. Ogni domenica andavo con lui allo stadio: dirigeva le partite e andavo a vederle. Anche questo mi ha fatto piacere di più questo gioco. Era un calcio di un altro tipo, ma era sempre il calcio. Era bello seguire il mio papà tutti i weekend. Sono originario di Santa Rita do Sapucaí, una città piccola, più legata alla tecnologia che al calcio. Ci sono scuole molto famose, ma non c’è una grande squadra. Alcuni giocatori però sono venuti fuori: uno è andato al San Paolo, un altro al Chelsea, un altro gioca in Spagna, uno in Ungheria. È una città che sforna tanti giocatori nonostante sia così piccola.

Come è nato difensore?
Sono nato terzino sinistro perché mi piaceva tanto Junior, che ha giocato nel Torino e nel Pescara negli Anni ’80 e nel Brasile. La mia famiglia tifava per il Flamengo, che nel 1981 ha vinto la Coppa Intercontinentale con Junior, Zico e Mozer. C’erano grandi calciatori all’epoca. Io nasco terzino sinistro per Junior. Mi piaceva tanto. Però ero alto allora ho giocato anche come centrale. Ho fatto pure il terzino destro e il centrocampista basso. Giocare in più posizioni e in più ruoli è stata una cosa positiva per me: mi ha fatto crescere come giocatore.

Che cosa ricorda del Palmeiras?
Dalla mia città mi sono spostato a San José, una squadra di Serie B, e ci ho giocato per tre anni. Poi sono andato al Palmeiras e ci sono rimasto per cinque stagioni. Ho vinto tanti titoli. È stata la squadra che mi ha permesso di andare in Nazionale e che mi ha fatto crescere nel grande calcio.

Il 2000 le ha cambiato la vita? Come è nato il suo passaggio al Milan?
Avevo 22 anni, ma da quattro stagioni giocavo al Palmeiras e avevo già vinto la Coppa del Brasile, la Coppa Mercosur, la Libertadores. Ero già stato convocato dalla nostra nazionale. All’epoca era un po’ diverso: i migliori giocatori per andare in Europa dovevano aver giocato già in una grande squadra del Brasile. Ed è ciò che ho fatto io. Oggi invece i calciatori partono molto giovani da qui. Io giocavo nel Palmeiras da tante stagioni e avevo vinto tanto: il Milan mi ha voluto per questa ragione.

Quale è il suo primo ricordo al Milan?
Ricordo il giorno della presentazione. Eravamo arrivati io e Dida, c’era il presidente Berlusconi. Questo me lo ricordo molto bene: quello è stato il mio primo momento importante a Milano. Provo molto affetto per questa squadra.

Che cosa davate voi brasiliani a quel Milan?
C’erano Rivaldo, Leonardo, Serginho, Dida stesso. Giocatori di qualità che avevano vinto con la maglia della nostra nazionale. C’ero anche io ovviamente. All’epoca i brasiliani per andare in una grande squadra dovevano avere tanta qualità. E tutti noi ce l’avevamo. Poi eravamo sempre allegri: questa è un’altra nostra caratteristica. Eravamo sempre così all’interno dello spogliatoio.

Vincere il Mondiale del 2002 le ha cambiato la vita?
Vincere il Mondiale è una cosa per pochi. Era il mio sogno da bambino riuscire ad arrivare in Nazionale e alzare quel trofeo. Avercela fatta cambia la vita di un giocatore. I grandi giocatori vengono ricordati spesso, chi ha vinto invece viene ricordato sempre. Vincere un Mondiale fa crescere anche come persone.

Come è nato il taglio di capelli a mezzaluna di Ronaldo nel 2002?
Tutto è cominciato per scherzo. Ronaldo aveva provato ad accorciare i capelli, è uscito dalla sua camera con quella mezzaluna e tutti abbiamo cominciato a ridere. Allora abbiamo fatto una scommessa con Ronnie. Gli abbiamo chiesto se aveva il coraggio di giocare la finale con quei capelli. Ronaldo l’ha fatto e quel taglio di capelli ha fatto il giro del mondo.

Ronaldo è stato il calciatore più forte di sempre?
In quel Mondiale aveva giocato tanto anche Rivaldo: anche lui è stato un grandissimo. Come prima punta il Fenomeno è stato il più forte che ho visto in campo e con cui ho giocato. Però c’era anche Ronaldinho, un altro giocatore straordinario. Per me erano tutti e tre allo stesso livello, cambiava un po’ il loro ruolo.

Quello è stato l’ultimo Mondiale vinto dal Brasile. Nel 2014 è arrivato il ko per 7-1 contro la Germania in semifinale: è stato un momentaccio per voi?
Se pensiamo alle ultime due partite sì. Il Brasile è arrivato in semifinale, ma non vincere o arrivare secondi è come non aver fatto niente per noi. Però se pensiamo alle difficoltà che si nascondono dietro un Mondiale, arrivare in semifinale è un buon risultato. Noi brasiliani viviamo per il calcio e quando non si vince è dura. Quel momento è stato difficile e ha fatto ripensare un po’ anche il modo di fare calcio in Brasile.

<!–

–> <!–

–>

Precedente AVVERSARIA MILAN EUROPA LEAGUE, OTTAVI: CHI È?/ Il cammino rossonero Successivo Europa League, sorteggio durissimo! Ecco le avversarie di Roma e Milan agli ottavi