Reja esclusivo: “Mancini un grande. Per Spalletti è l’anno giusto”

Edy Reja, ct dell’Albania, 77 anni e oltre mille panchine in carriera. La solita domanda: smette o va avanti?

«Non ascolto le voci, sono abbastanza grande, mi faccio una risata. Con Armand Duka, il presidente della federcalcio albanese, ho un rapporto profondo, quasi di amicizia. Terminiamo il lavoro, ci sono Italia e Armenia (sabato 19, ndr), poi ci sediamo e ne parliamo. Il contratto scade a fine novembre. Vedremo cosa è meglio per il bene di tutti. Neppure voglio diventare patetico. Dico la verità. Non lo so, non ho deciso».

In campo, però, si diverte.

«Mi piace, sono considerato dal gruppo, con i giocatori si è creato un bel rapporto e abbiamo fatto risultati. La promozione in Lega B di Nations e per un soffio è stato mancato l’accesso agli spareggi per il Mondiale. L’Albania non aveva mai totalizzato 18 punti nel girone, siamo riusciti a battere due volte l’Ungheria di Rossi. Quella partita persa in casa con la Polonia (0-1) ci ha fregato. Magari adesso mi divertivo… Il girone per Euro 2024 non è impossibile. Polonia e Repubblica Ceca favorite, ma ce la possiamo giocare». 
 
Trovare l’Italia cosa significa?

«Ascoltare l’inno italiano, dopo quello albanese, sarà una grande emozione. Lo stadio di Tirana si riempirà. Sapete tutti che seguito ci sia sempre stato qui per l’Italia. Ci tengo molto, anche dal punto di vista simbolico: a 77 anni è il coronamento di una lunghissima carriera».  
 
Un mese fa ha visto Mancini a Francoforte.

«Ci siamo salutati, gli ho fatto i complimenti, perché ha avuto il coraggio di cambiare assetto in Nations, passando al 3-5-2, e ha trovato un equilibrio diverso. Mi dispiace sia uscito dal Mondiale per un rigore sbagliato con la Svizzera, sarebbe bastato che Jorginho ne avesse messo dentro uno su due tra andata e ritorno. Roberto meritava di arrivare in Qatar dopo aver vinto l’Europeo. Capisco la delusione, l’amarezza. E’ stato travolto dalle critiche, le ha assorbite, dimostrando spessore. Grande persona, non solo grande allenatore». 

Doveva cambiare prima?

«Rispondo con una domanda. Come si fa a stabilirlo? Un ct ha le sue sensazioni, fa affidamento su giocatori che hanno risposto in precedenza. Nel caso di Mancini all’Europeo. Mi sembra accadde anche a Lippi nel 2010 ed erano passati quattro anni dal Mondiale in Germania, non sei mesi. Cerchi di far giocare quelli di cui ti fidi, non puoi accantonarli o lasciarli fuori. Bisognerebbe avere il coraggio di puntare su chi sta meglio, ma non è scontato». 
 
La gratitudine non paga per un ct.

«Vero. In modo particolare per un commissario tecnico. Nel club puoi cambiare, hai tempo per rimediare. Se un giocatore sbaglia per la seconda volta, lo escludi alla terza. In Nazionale sei dentro o fuori con una partita». 
 
Che partita ci aspetta a Tirana?

«Intanto qui in Albania ci sarà grande festa, poi non so Mancini chi farà giocare. Noi vorremmo fare bella figura e dimostrare di essere cresciuti rispetto a qualche anno fa. Non sarà una partita intensa, ma cercheremo di giocarla bene». 7

Perché il calcio italiano è così povero?

«Non se ne esce. Se i club continueranno a prendere stranieri, Mancini o chi per lui avrà sempre difficoltà ad allestire la Nazionale. Bisogna lavorare con il settore giovanile. Guardate il Sassuolo con Scamacca o Raspadori oppure la Juve che sta tirando fuori Miretti e Fagioli. Serve coraggio. All’estero, quando hanno 18-19 anni e sono bravi, li buttano dentro. Io controllo e osservo i miei albanesi in giro per l’Europa. Magari in Italia fanno 10 minuti, dalle altre parti sono titolari. Torno a Raspadori. Ha fatto grandi cose, ha mezzi importanti, ora è tornato dietro le quinte. Se hai Osimhen straripante… Ci toccherà tirare fuori nuovi giocatori. Una volta esistevano i blocchi della Juve o del Milan, avevamo grande classe. Ora come fai a mettere su una nazionale forte? Mancini è stato bravo ad assemblare il gruppo per l’Europeo, giocando e vincendo da squadra». 

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Un albanese da segnalare?

«Dico Armando Broja, 21 anni, centravanti. Ha esperienza e mezzi importanti. Gioca con i top del Chelsea, è rientrato a Londra dopo i prestiti con Vitesse e Southampton. Non è titolare, ma entra quasi sempre, anche in Champions. Bajrami lo conoscete, l’ho portato in nazionale, poteva chiamarlo la Svizzera». 
 
Asllani con Inzaghi fatica.

«Dieci mesi fa all’Empoli non era titolare fisso, ma ha finito bene il campionato. Avrebbe avuto bisogno di giocare, di un passaggio intermedio per maturare. Così rischia di perdere un anno. All’Inter non è facile». 
 
Dal Molinella all’Albania. Rimpianti in carriera?

«Ho fatto i dilettanti e sono arrivato in Serie A molto tardi, ma non butto niente. Sono stato bene in tantissimi posti. Napoli, Lazio in Europa, Atalanta. Quattro campionati di B vinti. Le due promozioni sfiorate con Cosenza e Torino. Ora l’Albania. Non posso lamentarmi».

A Napoli e alla Lazio si dimetteva e ci ripensava il giorno dopo.

«La delusione per un risultato o per le complicazioni ambientali ti può far pensare. Superato il momento, dimentichi e torni in campo. Fa parte del nostro lavoro».

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Una volta, dicono, Klose bussò allo spogliatoio per farle cambiare idea.

«Volevo andarmene e lo comunicai alla squadra, salutandola. Dopo cinque minuti, vennero in due o tre a cercarmi nel mio spogliatoio. Miro mi guardò e disse: “Dai su, mister, mettiti la tuta e andiamo in campo. Non facciamo scherzi”. Mi cambiai e ripresi in mano l’allenamento».  
 
E’ il più forte che abbia mai allenato?

«Non per i colpi, ma dal punto di vista professionale era imbattibile. Prendeva i palloni e li metteva nella sacca a fine allenamento, vedere i ragazzi della Primavera andare via senza raccoglierli, lo disturbava. Il primo giorno a Formello disse ai magazzinieri di non pulire i suoi scarpini, perché ci avrebbe pensato da solo. Questi sono i campioni. Gente da ammirare. Studiava gli avversari. Chiedeva le cassette per vedere i difensori che lo avrebbero marcato. Giocava sul centimetro, sugli anticipi. Grandissimo centravanti. Non so se diventerà un grandissimo allenatore. Di sicuro potrà essere di insegnamento a tanti ragazzi». 
 
Scaloni, ct dell’Argentina, vincerà il Mondiale?

«Credo siano i favoriti, sullo stesso piano del Brasile. Per valori e clima, metto in prima fila le sudamericane. Il caldo potrebbe danneggiare le nazionali europee, meno abituate. Lionel è sveglio, evoluto, nello spogliatoio aveva un rapporto straordinario con tutti. L’ho avuto alla Lazio e l’ho portato all’Atalanta, anche se ogni volta in cui perdevamo mi veniva a dire cosa avevamo sbagliato. Sapeva parlare di calcio. Era predisposto al mestiere». 

Lotito ha riscoperto in Sarri la saggezza che aveva smarrito con l’addio di Reja?

«Penso di sì, adora Maurizio. Fanno una bella coppia. Dal punto di vista tattico, come il primo anno a Napoli, Sarri ha avuto alti e bassi, ma c’è un filo logico, ora i calciatori lo conoscono, la squadra gioca bene. Ha vinto tatticamente e meritando il derby. La Champions? Ci spero, ma è dura. La Lazio dovrebbe uscire dalla Conference per arrivare tra le prime quattro in Serie A». 
 
Napoli da scudetto?

«Penso di sì. In tanti dicono, anche gli altri anni partiva così forte e poi crollava. Non sono d’accordo. Rosa adeguata, completa. L’unico insostituibile è Lobotka. Hanno scelta ampia in ogni reparto. Kim e Kvara sono straordinari, come Anguissa. Giocano con la consapevolezza di poter vincere dappertutto. Spalletti ha perso Insigne e Koulibaly, ma questi sono di alto livello e hanno fame. Nessuno abbassa la testa quando perdono palla. Rientrano e sono pronti a ricatturarla. Anche Osimhen. E’ il lavoro di Luciano. Grandissimo allenatore. Penso sia l’anno giusto per lo scudetto». 

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