Perché gli arbitri non riescono a dare giudizi uniformi?

È anche su questo che si sta smarrendo la nostra classe arbitrale, perdendo ulteriore credibilità in un momento in cui avrebbe bisogno di dare un’immagine positiva dopo il caos che ha travolto i vertici dell’Aia

Se c’è un elemento che dà un senso di equilibrio, equità e giustizia alle decisioni degli arbitri, allontanando polemiche e sospetti, è l’uniformità di giudizio: episodio uguale, fischio uguale. Elementare. In quel modo anche chi ha voglia di protestare vede frustrate le sue velleità di contestazione: come puoi ribellarti a una scelta che, in casi identici, è dello stesso tenore? Invece è su questo – anche su questo – che si sta smarrendo la nostra classe arbitrale, perdendo ulteriore credibilità in un momento in cui avrebbe invece bisogno di dare un’immagine positiva di sé dopo il caos che ha travolto i vertici dell’Aia.

Niente da fare. Agli errori delle ultime giornate di campionato se ne aggiungono altri. Inesorabilmente, ogni settimana. Con l’aggiunta appunto della mancanza di uniformità, forse il segnale peggiore: trasmette un forte senso di iniquità, oppure di inadeguatezza; o di entrambe le cose.

Ne abbiamo parlato spesso in quest’ultimo periodo, invocando la massima attenzione: la Serie A è in una fase calda, tutte le decisioni pesano tantissimo e occorre rispetto per qualsiasi squadra, qualunque sia la sua posizione in classifica. Servono lucidità, chiarezza di idee e, come detto, uniformità. La sensazione – determinata dagli episodi, quindi dai fatti – è invece che non sia così, tanto che spesso è impossibile seguire il percorso mentale che conduce a determinate scelte. Il designatore Rocchi sta cercando di far crescere i giovani arbitri, i quali però hanno bisogno di sicurezza e, soprattutto, di certezze. Ne hanno? Molto probabilmente no, altrimenti non riusciremmo a spiegarci tutti gli errori ai quali stiamo assistendo ormai da troppo tempo: gravi, pesanti, incomprensibili.

Nel 2023 abbiamo già visto un po’ di tutto, e siamo appena alla metà di gennaio. Ad esempio i fischi anticipati, che non hanno consentito l’utilizzo della Var portando a negare gol regolari: è accaduto in Cremonese-Juve e in Monza-Inter. Adesso emerge la questione della mancanza di uniformità nei giudizi e nelle decisioni, balzata agli occhi di tutti per quanto accaduto sabato a San Siro e ieri all’Olimpico Grande Torino: il tocco di mano in area da parte di Hien in Inter-Verona è stato giudicato regolare e quello di Djidji in Torino-Spezia meritevole invece di essere punito con il rigore benché la dinamica sia praticamente identica.

Impossibile comprendere il motivo per cui arbitri professionisti – perché di questo si tratta – combinino pasticci del genere. Probabilmente c’è anche un difetto di comunicazione. È stato spiegato agli arbitri, dopo l’errore di Cremona, che nell’era della Var occorre attendere la fine dell’azione prima di fischiare? Se sì, perché è stato commesso un errore uguale pochi giorni più tardi? E cosa è stato detto dopo il rigore negato all’Inter contro il Verona? Domande senza risposta. Ma evidentemente gli arbitri comunicano poco e male anche tra di loro, e non solo verso il mondo esterno.

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