Palmieri (Sassuolo): “Lasciate sbagliare in pace i giovani. E i club devono investire”

Il responsabile del settore giovanile neroverde: “Si dovrebbe obbligare a portare ogni anno in prima squadra uno o due calciatori delle giovanili. E poi mancano i centri sportivi…”

“Adesso che la Nazionale è stata eliminata dai playoff per il Mondiale ci accorgiamo che non c’è un ricambio generazionale e ci chiediamo come mai non ci sono nuovi talenti: la realtà è che le cose non funzionano da tanti anni e le criticità andavano affrontate molto tempo fa. Forse non saremmo arrivati a questo punto”. Francesco Palmieri ha 54 anni e dopo aver giocato con diversi club in serie A e in B oggi è responsabile del settore giovanile del Sassuolo. Un club che, proprio come ha provato a fare Mancini con l’Italia, quando si tratta di giovani va in controtendenza e prova a valorizzarne in casa propria e lanciarne quanti più possibile. Non a caso a un certo punto, contro la Macedonia del Nord, due terzi del tridente azzurro era composto da calciatori neroverdi, Raspadori e Berardi. Magari in futuro indosserà quella maglia anche qualche ragazzo dell’attuale Under 18, impegnata in questi giorni al Torneo di Viareggio. Proprio sotto gli occhi di Palmieri, Adrian Cannavaro (figlio di Paolo) e i suoi compagni hanno rimontato 2-1 la Fiorentina guadagnandosi la semifinale. “Noi – dice – siamo fortunati perché Giovanni Carnevali crede molto nei giovani e lavoriamo quotidianamente per scovarli e poi svilupparli al meglio delle nostre possibilità. Ma la verità è che c’è un problema di fondo e se non arrivano regole dall’alto non credo che la situazione possa cambiare”.

Strutture e allenatori

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Dei migliori talenti under 20 a livello globale nessuno gioca in serie A e il minutaggio di chi proviene dal vivaio è ancora troppo basso. “Qualcosa cambierà solo se tutti inizieremo a crederci davvero – commenta Palmieri –. I giovani devono giocare e sbagliare, non essere fatti fuori al primo errore. Ma dovrebbe succedere ovunque, per questo dico che servirebbe un’impostazione dall’alto, come ad esempio l’obbligo di portare ogni anno in prima squadra uno o due calciatori delle giovanili. I ragazzi non sono mai pronti… se non ci si crede si fa fatica”. “E poi – aggiunge – si dovrebbe imporre alle società di investire nei centri sportivi, non è possibile che alcune squadre non abbiano nemmeno i campi per fare allenare le varie under. Si parla di giovani in difficoltà, ma ci scordiamo che hanno bisogno di attenzioni continue e solo con strutture all’avanguardia e allenatori retribuiti è possibile seguirli davvero e non disperderli”. Quello dei tecnici sottopagati è un tema delicato quando si parla di vivai. “Va cambiata la mentalità – conferma – non deve essere un problema assumere un allenatore o un osservatore in più, invece in certi casi è così. Bisogna privilegiare questi investimenti”.

Gli stranieri e le seconde squadre

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“Il fatto che ci siano molti stranieri nelle rose giovanili e della Primavera – spiega il responsabile del settore giovanile del Sassuolo – è normale dato che oggi il mercato è libero e i costi sono limitati. Ai nostri, invece, diamo valori esorbitanti senza la possibilità di farli crescere”. Naufragato, per il momento, anche l’esperimento delle seconde squadre visto che la Juventus è l’unica ad aver creato una formazione Under 23 che gioca in serie C. “Penso che possa essere una delle soluzioni, perché la forbice tra academy e serie A è ampia, tanto che solo i migliori iniziano dalla serie B e quasi tutti finiscono in C, però dietro c’è anche un discorso economico importante. Noi stiamo facendo le nostre considerazioni, in questi anni siamo già cresciuti in maniera esponenziale”.

“Manca il talento”

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Stefano Luxoro è uno degli osservatori più vicini al Torneo di Viareggio, con il quale in passato ha anche collaborato. Ha lavorato per la Roma, il Milan, la Juventus e altre società italiane. Per lui la “cultura del risultato” che ha contagiato anche i settori giovanili italiani è la madre delle conseguenze peggiori, e si origina “dai mancati investimenti negli allenatori e dalla povertà di dirigenti in grado di valutare con qualità il loro lavoro”. Il risultato è che in Italia “mancano talenti”. “È vero – chiarisce – che si dovrebbe far arrivare dall’estero solo quei calciatori che possono realmente fare la differenza e migliorare tramite il confronto sportivo i nostri giovani, ma il reale problema è a monte: condizioniamo i ragazzi senza dar loro la possibilità di esprimersi davvero e quando si approcciano alle prime squadre non sono pronti”. “Non li incentiviamo al gesto tecnico, ad avere coraggio, a sviluppare il proprio talento – aggiunge – non li abituiamo a prendere decisioni sotto pressione, che ad esempio è uno dei punti cardine della cantera del Barcellona, ma tronchiamo il loro sviluppo tecnico ingabbiandoli nel nostro tatticismo. Devono proprio cambiare i presupposti, non si può parlare di tattica collettiva a ragazzini di 15 anni”. Ci sono diverse motivazioni. “Una di queste – conclude – è sicuramente la necessità per gli allenatori, spesso non retribuiti a dovere, di rispondere a un’esigenza di risultati. Non sono tutelati né ben valutati e questo ha scatenato un meccanismo di contrazione anziché di sviluppo. Tant’è che molti di loro usano le giovanili solo come trampolino per la prima squadra”.

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