Le due facce della furbizia

Juve-Napoli e Lazio-Torino non sono la stessa cosa. Anche se soggiacciono alla stessa sorte. Si ripeteranno entrambe, senza conseguenze per le squadre, Napoli e Torino, che hanno rinunciato a presentarsi sul campo. In un caso e nell’altro c’era una causa di forza maggiore che impediva che la partita fosse disputata, cioè un provvedimento della Asl che disponeva la quarantena. In un caso e nell’altro questo provvedimento era stato sollecitato dai presidenti dei due club, De Laurentiis e Cairo.

Ma c’è una differenza sostanziale, che purtroppo non ha nessun valore per l’esito della sentenza sportiva, ma che vale per lo Stato di diritto e, forse, per la magistratura ordinaria: l’ordinanza con cui la Asl di Napoli ha fermato Juve-Napoli proteggeva il diritto alla salute, quella con cui la Asl di Torino ha interdetto Lazio-Torino il diritto alla salute lo calpesta.

Lo spiega con molta chiarezza il presidente della Corte sportiva d’Appello, Piero Sandulli, che firma la sentenza: la Asl sostiene che la quarantena decorre dal giorno successivo a quello in cui è dichiarata. Come se un medico dicesse: tu hai il Covid, vai a salutare parenti e amici perché da domani dovrai chiuderti in casa. E’ come se avesse sostenuto questo il direttore del servizio di prevenzione dell’Asl di Torino, Roberto Testi, quando la Lega gli ha chiesto il primo marzo se il Torino potesse giocare a Roma il giorno successivo. Lui ha risposto: non può giocare, perché ho accertato il Covid il 23 febbraio, la quarantena decorre dal giorno successivo e scade dieci giorni dopo, alla mezzanotte del 2 marzo. Lazio-Torino, programmata per il pomeriggio dello stesso giorno, è stata così cancellata.

Questa interpretazione è sportivamente diretta a favorire il Torino, che la partita non voleva giocarla. Ma è anche logicamente assurda e giuridicamente abnorme. Perché pospone la vigenza di un provvedimento urgente al giorno successivo a quello in cui lo stesso è adottato. In questo modo il diritto alla salute, che dovrebbe proteggere, lo schiaccia sotto i tacchi di un evidente abuso di potere. La domanda che resta sospesa è: questo abuso configura anche un reato penale, cioè quell’«abuso d’ufficio» che si ipotizza tutte le volte in cui un atto illegittimo di un pubblico ufficiale procura un vantaggio patrimoniale indebito a qualcuno, il Torino, e un danno ad altri, la Lazio? Non lo sapremo mai. Almeno non lo sapremo nella sede di una Corte sportiva. Che, con più umiltà di quanto accadde con Juve-Napoli, riconosce stavolta la supremazia dell’atto della Asl rispetto al protocollo della Figc e allo stesso sindacato del giudice sportivo.

Il divieto dell’autorità sanitaria di Torino è certamente contrario alla legge, alla salute, alla ragionevolezza e anche al buon gusto, ma non è disapplicabile, perché non è sindacabile da un tribunale sportivo. Per questo la Corte d’Appello assolve il Torino. Ma non manca di censurarne la furbizia, in contrasto – scrive nella sentenza – con i principi sportivi di lealtà, probità e correttezza. Ed è proprio nella furbizia la differenza tra il Napoli e il Torino.

La furbizia del Napoli è assorbita dal dovere della Asl di tutelare il diritto alla salute, impedendo di giocare una partita che può diffondere il contagio. La furbizia del Torino è smascherata dall’arbitrio della Asl, che piega lo stesso diritto all’obiettivo di fermare una partita che invece si può giocare. Ma non si gioca solo perché il club non ha convenienza a disputarla. È la furbizia dell’egoismo che non guarda in faccia a nessuno. Con la quale il calcio e il Paese dovranno prima o poi fare i conti, se davvero vogliono uscire da questa lunga pandemia un po’ rinnovati. 

Corte Sportiva d'Appello: "Lazio-Torino va giocata"

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Corte Sportiva d’Appello: “Lazio-Torino va giocata”

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