La seconda vita di Tonetto: “Dall’erba dell’Olimpico alla sabbia di Ostia. Vi spiego come si sta”

Un sogno meraviglioso rincorso sull’erba, una nuova vita sulla sabbia dove il pallone non deve mai toccare terra. Oggi Max Tonetto ha 47 anni: nel cuore la passione di sempre, in testa una nuova sfida da vincere

Simone Lo Giudice

12 agosto

La tradizione brasiliana da un lato, la passione italiana dall’altro: Aldair Nascimento do Santos conosce la prima, la seconda invece batte nel petto di Max Tonetto. Sono loro due gli ex calciatori della Roma che dopo l’erba hanno scelto la sabbia per continuare a divertirsi sempre con il pallone tra i piedi. Questa è l’anima del footvolley, lo sport che si è preso la scena nelle spiagge di Ostia, la città dove Tonetto ha trovato il suo posto perfetto dopo l’addio alla Roma e al calcio nel 2010. Nessuno meglio di lui, l’uomo che ha sfiorato due scudetti, il primo con Luciano Spalletti e il secondo con Claudio Ranieri, oggi può testimoniare il grande entusiasmo che circonda la Roma giallorossa nelle mani di José Mourinho e nei piedi di Paulo Dybala. Nella Capitale il pallone è ancora la cosa più importante di tutte, come lo è stato per più di trent’anni per il triestino Max.

Max, com’è nata la sua passione per il footvolley?

È cominciato tutto sulle spiagge di Ostia. Quando ho smesso di giocare, alcuni amici mi hanno fatto conoscere questo sport nato in Brasile negli Anni ’70 e portato in Italia dai calciatori carioca arrivati in Serie A. Il footvolley si sta affacciando piano piano anche da queste parti, negli ultimi anni ha fatto grandi passi in avanti. Da due anni organizziamo il primo campionato di footvolley con alcune società e facciamo esibizioni itineranti in giro per l’Italia.

Chi non sa niente di footvolley che cosa dovrebbe imparare?

Si gioca nello stesso campo del beach volley, la rete è alta 2 metri e 15 centimetri quindi è un po’ più bassa. Le regole sono le stesse, ma anziché usare solo le mani si può colpire il pallone con piedi, petto, spalla e testa. Si possono fare al massimo tre tocchi, la palla non deve cadere mai, per vincere un set servono 18 punti.

Come si chiama il colpo più spettacolare del footvolley?

Shark-attack detto anche “colpo dello squalo”: succede quando giocatori particolarmente abili riescono a colpire il pallone col piede sopra la rete e a schiacciare nel campo avversario. Un colpo ancora più spettacolare è lo shark-block, una sorta di muro fatto con il piede per cercare di contrastare l’azione avversaria. È una cosa davvero pazzesca da vedere.

Meglio giocare sull’erba oppure sulla sabbia?

È diverso! L’erba l’ho battuta, adesso mi sono spostato sulla sabbia. Ogni età ha la sua superficie. Questa è la mia passione adesso. Quella che ho avuto per il calcio è stata stupenda e meravigliosa, ma è finita.

Quale fondamentale da calciatore le torna più utile nel footvolley?

Possedere una buona tecnica aiuta, serve dimestichezza col pallone. Le regole però sono completamente diverse rispetto al calcio: per 20 anni mi hanno detto di mettere giù la palla prima possibile, a footvolley la prima cosa che devi fare è tirarla su.

Il footvolley può crescere come il padel?

Magari! Il padel è uno sport più semplice e questo ne ha facilitato la diffusione. Il footvolley è condizionato dalla criticità della sabbia. Gioco con tanti ex calciatori: il brasiliano Aldair brasiliano, poi Massimo Oddo e Rodrigo Taddei, Amantino Mancini e Bruno Alves che ha cominciato subito dopo aver smesso di giocare. Il più famoso è Ronaldinho. I maestri più forti al mondo sono i brasiliani.

Serve la loro fantasia?

Occorre un po’ di tutto, anche il fisico. Loro hanno una grandissima tradizione, possono giocarlo 12 mesi all’anno perché il meteo glielo permette. Se vai in giro per le spiagge del Brasile trovi soltanto ragazzi che tirano il pallone con i piedi. Da noi non è così perché ci sono tanti altri sport.

Lei gioca in coppia con Aldair: chi sfidate spesso?

Federico Iacopucci e Alain Faccini, figlio di Alberto ex giocatore della Roma. Abbiamo giocato con César Aparecido a Latina, un Combat tra ex giallorossi ed ex biancocelesti. Ce ne sono stati anche tra ex Inter ed ex Milan, ex Brasile ed ex Italia. Cesar è molto bravo sulla sabbia avendo giocato anche a beachsoccer. Abbiamo giocato dei Combat Italia-Brasile anche con Aldair: adesso è tornato a casa, dovrebbe rientrare a settembre.

Che obiettivi vi siete posti?

Prima di tutto far conoscere questo sport il più possibile presso i più piccoli nelle scuole. Vogliamo portarlo avanti a 360 gradi, poi sarà la Federazione a dettarci la direzione. A maggio abbiamo presentato il Footvolley National Tour 2022 al Foro Italico: il 28 agosto ci sarà l’ultima tappa del campionato italiano a Viareggio dove saremo ospiti dell’agente Davide Lippi. Il 9-10-11 settembre è in programma la finale del campionato europeo a Roma.

Non solo footvolley: dopo il calcio le ha intrapreso anche la carriera giornalistica, com’è stato?

Quando ho smesso sono stato contattato dalle radio romane. Per sette-otto anni ho partecipato a diverse trasmissioni. Ho lavorato anche a Trigoria per Roma Tv e Roma Radio. Ho visto che cosa c’è fuori dal campo da calcio. La cosa più bella l’ho fatta. È unico stare sul campo davanti a 50mila spettatori. Ho praticato il gioco più bello al mondo. Ora penso a nuove sfide.

Lei è originario di Trieste: che cosa è nato di speciale tra lei e Roma?

Viviamo in un contesto un po’ fuori città in mezzo al verde dove si gira in bicicletta vicino al mare. Era l’ideale per la famiglia che io e mia moglie avevamo creato. Mi ero trovato bene quando facevo il calciatore, ho deciso di restarci dopo aver smesso.

C’erano sportivi nella sua famiglia?

Mio padre è stato un grande sportivo: gli piaceva il calcio, ma ha fatto anche il ciclista a livello amatoriale. La mia passione è nata a cinque-sei anni nel campetto vicino casa, proprio di fianco a dove lavoravano i miei genitori. Non volevo mai uscire da quella terra battuta, oggi non esiste più. Era un calcio diverso, di strada, che si giocava con le porte delimitate dagli zainetti. Era alimentato da principi più sani. Oggi si cerca si pensa troppo ai social. Noi eravamo più focalizzati sul pallone.

Qual è stato lo snodo della sua carriera?

Forse il primo anno con Luciano Spalletti ad Empoli nella stagione 1997-98 quando ho iniziato a giocare in Serie A ad alti livelli. Facevamo un bel calcio, lo stesso che il mister poi ha portato in giro per l’Italia e per il mondo. Lì ho capito che potevo fare qualcosa di buono nella mia carriera da calciatore.

Lei è stato allenato anche da Carlo Ancelotti e da Claudio Ranieri. Che cosa ha imparato dai suoi mister?

Te ne potrei citare altri dieci. Ho cercato di imparare qualcosa da tutti. Non è semplice allenare, guidare un gruppo e gestire 20 teste diverse. Se Ancelotti è diventato uno degli allenatori più vincenti della storia un motivo ci sarà. Non gli mancava niente. Aveva giocato a grandi livelli e conosceva le dinamiche dello spogliatoio, ricordo una persona molto intelligente che non ha mai perso il senso delle cose. Sapeva farsi voler bene. Queste qualità gli hanno permesso di arrivare dove è arrivato.

Lei con la Roma avrebbe potuto vincere almeno due scudetti? Che cosa vi è mancato?

Siamo arrivati secondi in tre occasioni, due volte siamo andati vicinissimi a vincere. In quattro anni abbiamo conquistato tre trofei. Abbiamo provato ad alzare l’asticella stagione dopo stagione: è una cosa che paga. Purtroppo non abbiamo centrato l’obiettivo grosso. Nel 2008 a mezz’ora dalla fine di Parma-Inter eravamo primi, poi è entrato Zlatan Ibrahimovic, ha fatto doppietta e abbiamo perso. Questione di dettagli. Se le cose fossero andate avanti con quella piega qualcosa avremmo vinto.

C’è una partita che vorrebbe rigiocare?

Roma-Sampdoria 1-2 del 2010: è stata l’unica volta in cui noi avevamo in mano le redini del campionato. Potevamo portarci a casa lo scudetto, poi però è andata male.

Curiosamente proprio l’ex Inter José Mourinho oggi è diventato il capo popolo giallorosso…

È stato un grande avversario. Quando i suoi giocatori parlano di lui gli luccicano gli occhi. José sa farsi ben volere, questo è un grande pregio per l’allenatore. Ha vinto ovunque, anche a Roma ci è già riuscito. Ha riportato mentalità vincente.

Che entusiasmo si respira oggi a Roma?

Negli ultimi due anni è stato superiore a quello del 2010. Ci sono energia positiva e grande spinta. Questo crea aspettative che bisognerà saper gestire. Nel prossimo campionato cinque-sei squadre lotteranno per andare in Champions League: la  Roma dovrà essere brava a farsi spazio in quelle posizioni.

Il colpo Dybala fa la differenza?

Dal punto di vista mediatico e tecnico sicuramente sì, è un grandissimo colpo al cento per cento. Sulla carta Dybala è un super acquisto. La Roma dovrà riportarlo sui suoi livelli da big. Le aspettative sono molto alte, ma lui è un calciatore top.

Paulo ha fatto bene a non prendere la numero dieci di Francesco Totti?

Secondo me avrebbe potuto prenderla perché possiede una qualità di gioco talmente alta che sarebbe stato un degno erede del numero dieci dopo Francesco. Non sarebbe stata una mossa sbagliata.

C’è un settore del campo in cui alla Roma manca ancora qualcosa?

Andrea Belotti sarebbe un buon tassello per l’attacco e un’alternativa di qualità. Penso che la Roma sia abbastanza completa. È difficile dire dove possa arrivare. Vanno sciolte alcune incognite. Non so se Nicolò Zaniolo è in uscita oppure se resterà. Lui e Leonardo Spinazzola hanno subito brutti infortuni, averli al cento per cento sposta gli equilibri in favore della Roma.

Secondo lei mancano un po’ di romanisti a questa Roma?

Forse sì. Quando c’ero io si respirava che cosa voleva dire giocare nella Roma. Mi è sempre piaciuto avere tanti romani nello spogliatoio per portare avanti le tradizioni. La loro assenza potrebbe rivelarsi un vantaggio e far sentire meno le pressioni: averle da un lato può essere stimolante, dall’altro può rivelarsi problematico se si fa fatica a gestirle. 

Questo weekend riparte la Serie A: lei ha giocato nel Lecce, come vede l’esordio contro l’Inter?

Ho ricordi stupendi legati alla piazza: ricordo le tre stagioni in Serie A e quella in B in cui abbiamo vinto il campionato. Lecce sa farti sentire il suo amore. Sono felice che sia tornata al top con un grande scopritore di talenti come Pantaleo Corvino. Sono certo che il direttore abbia allestito una bella squadra che saprà farsi valere anche in A.

Com’è stato giocare con Simone Inzaghi?

Siamo stati insieme alla Sampdoria per sei mesi. Non mi sorprende la sua crescita come allenatore perché è sempre stato un ragazzo intelligente, carismatico, con grande personalità. Non mi aspettavo che riuscisse ad affermarsi con questa velocità. Ha fatto un salto triplo dalle giovanili alla prima squadra, poi è stato bravo a restare in alto e a migliorarsi di anno in anno. All’Inter sta confermando tutte le sue qualità. Sono contento per lui.

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