Inzaghi, contro il Porto serve la genialità dell’Inter dell’andata

Era un brutto periodo, per il Milan. Perdeva spesso, faceva acqua dovunque e comunque. Si invitò Stefano Pioli a pensarci su; a correggersi senza smentirsi, espiazione che sta al calcio come l’equilibrio all’equilibrismo. Lo 0-3 di Supercoppa, a Riad, aveva battezzato la crisi. La vendemmia del Sassuolo a San Siro (2-5) la rese adulta e sovrana. 

Per uscire dall’accerchiamento, l’allenatore decise di «violentare» le tradizioni aziendali. E allora, difesa a tre. Addirittura. E non proprio un trionfo, la «prima»: ennesimo derby, ennesima sconfitta; e, oggettivamente, molto al di là del minimo scarto (0-1). Anche perché, gratta gratta, si rivelò un ingorgo «a cinque». Caro Pioli, hai buttato via tre stagioni di idee, brontolò Antonio Cassano. Stefano, non così, rincarò Arrigo Sacchi. Piano piano la squadra si raddrizzò: arrivarono, in campionato, il doppio 1-0 al Toro e al Monza e un piccante 2-0 alla Dea. A parte la ricaduta di Firenze, è stata soprattutto l’Europa a baciare il nuovo corso: 1-0 al Meazza e 0-0 in trasferta con il Tottenham di Antonio Conte (datemi un martello). Era da undici anni che il Diavolo non si qualificava per i quarti di Champions. C’era ancora Massimiliano Allegri, il Geppetto del corto muso.  

Ecco. Fate finta di essere in Italia. Secondo voi, qualcuno avrà eccepito, a bocce ferme, sulla procedura tattica della riscossa? Qualcuno, intendo, dei celopuristi. Nessuno. A Coverciano hanno abbozzato in aula magna; a Fusignano, smoccolato in bagno. Improvvisamente, al Diavolo le trincee. Se mai, una Maginot elastica e coraggiosa, chiusa agli spifferi e aperta ai venti, con un portiere, Mike Maignan, che, fresco di rientro, ha messo subito le cose in chiaro: qui comando io. 

Tocca all’Inter, Inzaghi geniale all’andata

Questa sera, a Porto, tocca all’Inter. E Simone Inzaghi – geniale all’andata, banale a La Spezia – è un altro che difende a tre. Come faceva l’Atalanta di Gian Piero Gasperini quando era rullo in patria e «dentista» all’estero. E come, nel 2021, avrebbe fatto Thomas Tuchel: pilotava il Chelsea, si ritrovò il bulimico Manchester City di Pep Guardiola nella finale di Champions e, per beffarlo, non rinunciò a coprirsi sfidando giudizi e pregiudizi. E Roberto Di Matteo: sempre al Chelsea, reclutato d’urgenza al posto di André Villas-Boas, nel 2012, strappò la coppa regina al Bayern dopo essersi barricato al calduccio di un Fort Alamo che avrebbe commosso persino John Wayne. 

Oh risultato! mio risultato! Non ci si schioda da lì. L’analisi batte dove il tabellino vuole. «Gran difesa», ha scritto Arrigo dell’arrosto di Londra, fra le sviolinate del sentimento popolare e populista. Il caso evoca la storia del possesso palla: dipende da quello che ci metti «dentro», non da come lo mastichi. Ogni tanto ci cascano pure i saggi. Nel mirare la «graziosa» luna di Giacomo Leopardi, può capitare che ci si innamori della strofa che la indica. «Catenaccio» e «contropiede» sono stati banditi dalle scuole. La «difesa a tre» stava rischiando la stessa fine. Che è poi il fine dei tattici. O degli strateghi? Boh. 

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