I ricci, l’università, le punizioni di Gaucci. Bucchi: “E quel Modena di Pioli…”

Un casco di capelli ricci come Falcao, uno zio che lo ha preso per mano per le strade di Roma e gli ha aperto le porte dell’Olimpico, un percorso imprevedibile e per questo ancora più meraviglioso. Tra Cristian Bucchi e il pallone è stato amore a prima vista, uno di quelli in cui non si tradisce. E che passano le categorie e lui non passa mai. Tutto è cominciato a San Benedetto del Tronto ed è ricominciato a San Severino Marche, a due passi da Macerata, dove Bucchi, tra una gara e l’altra, cullava il sogno di diventare un giornalista. Poi la chiamata del Perugia e il salto dall’Eccellenza alla Serie A, uno di quelli che cambiano la vita. Oggi Bucchi porta la sua storia con sé in panchina, il posto dei suoi nuovi sogni, da dove ha lanciato talenti che sono il presente del calcio italiano. Ragazzi che amano quello che fanno, come ha sempre fatto lui.

Cristian, che momento sta vivendo della sua carriera da allenatore?

Ho voglia di ributtarmi dentro e di vivere una bella avventura. Ho avuto tempo per riflettere sul percorso fatto e sugli errori commessi. Nel corso della stagione ci sono tanti impegni, non riesci ad essere sempre lucido, così qualsiasi analisi viene fatta più di pancia che di testa.

Quale esperienza le è rimasta più addosso tra quelle che ha vissuto?

Sarebbe facile dire l’esperienza in Serie A col Sassuolo. Per me però è stato formativo anche l’esordio con la Primavera del Pescara. Come lo sono state le annate in C con tre realtà e tre culture molto diverse. Ho allenato la Torres in Sardegna e l’isola ha un fascino tutto suo, è stata un’esperienza meravigliosa. Come quella con la Maceratese, una neopromossa che da tempo mancava tra i professionisti: abbiamo fatto il campionato dei record, non era mai arrivata terza in C, mai aveva lottato per la promozione in B. Poi ricordo la stagione col Perugia: avevamo il diciassettesimo budget della categoria, siamo arrivati quarti ad un soffio dalla A. Nella doppia sfida ai playoff col Benevento avremmo meritato di passare, non abbiamo avuto fortuna. Poi ci sono state le parentesi con Sassuolo e Benevento, entrambe bellissime.

Cosa ricorda della sua ultima esperienza all’Empoli nel 2019?

Il club veniva dalla A, siamo ripartiti da zero. Essere riusciti a formare un gruppo squadra è stata la nostra soddisfazione più grande. C’è rammarico per l’esonero alla dodicesima giornata: eravamo sesti a 3 punti dalla seconda quindi dalla promozione diretta in A. L’Empoli ha fatto un mercato importante a gennaio, nonostante questo però la situazione non è migliorata e la media punti è persino calata.

Lei ha lanciato tanti giovani che oggi giocano nelle big: quanto le fa piacere tutto questo?

Quando sono arrivato a Sassuolo il ciclo di Di Francesco era finito. La squadra aveva bisogno di una rinfrescata. Ci siamo riusciti con tanti giovani: c’erano Scamacca, Pierini e Marchizza. Poi Rogerio e Frattesi, Sensi e Mazzitelli. Vedere dove sono arrivati è una grande soddisfazione. Mi prendo il merito di aver fatto esordire molti di loro, Scamacca su tutti. Credo che quell’anno abbia sancito il passaggio di Sensi da giovane di belle speranze a certezza. Con me Stefano ha giocato in tutti i ruoli del centrocampo.

Sensi è stato sfortunato all’Inter?

Le sue sfortune sono fisiche. Secondo me nella sua primissima esperienza all’Inter stava già diventando un top, purtroppo i problemi fisici hanno rallentato la sua crescita. Barella è esploso, Eriksen e Vidal hanno trovato posto, stessa cosa per Gagliardini. Quando Sensi risolverà i suoi problemi fisici, sono certo che avrà di fronte a sé un’autostrada di opzioni.

Scamacca invece è pronto per il salto in una big?

Gianluca ha una struttura da pivot, allo stesso tempo però ha grandissima velocità, potenza, reattività, tecnica e controllo. Un attaccante ha bisogno di giocare con continuità e Scamacca ha fatto il percorso perfetto: l’anno scorso è andato ad Ascoli, è stato intelligente a buttarsi in B. Credevo che potesse restare al Sassuolo quest’anno, ma per dare spazio a Raspadori la società ha scelto di mandare Gianluca al Genoa. Lui è stato bravo ad aspettare ed è cresciuto ancora. Fare gol all’Allianz è un segnale di personalità. Credo che Scamacca il prossimo anno possa recitare un ruolo da protagonista in un club di fascia medio alta oppure che possa diventare un’alternativa d’attacco di un top club. Lo vedrei bene al Milan dietro ad Ibra: potrebbe crescere accanto ad un campione ed essere decisivo quando avrà la possibilità di farlo.

Ha lanciato anche qualche altro giovane?

Gianluca Mancini al Perugia: era un ragazzino, ma giocava con una personalità pazzesca. Vederlo capitano della Roma mi ha riempito d’orgoglio. Avevo incontrato Matteo Ricci con la Primavera del Pescara quando lui giocava in quella della Roma e con la Maceratese quando era al Pisa. Mi ha sempre colpito per intelligenza e qualità tecniche. A Perugia abbiamo battezzato il suo ruolo da playmaker. Quando si è tolto un po’ di peso dalle spalle la sua carriera è decollata. Grazie ad Italiano e allo Spezia è cresciuto tantissimo. Vedere il suo nome tra i convocati di Mancini è stata una bellissima soddisfazione.

Ha un aggettivo per il suo calcio? Come lo definisce?

Situazionale. Se sei Guardiola puoi andare in un top club e determinare un mercato. Tutti gli altri devono confrontarsi con realtà diverse. Credo che l’allenatore debba essere bravo ad adattarsi prima di tutto, poi a portare le sue idee. Il mio punto di riferimento è Allegri: lo considero il migliore allenatore italiano, poi è la persona più intelligente in assoluto nel fare queste genere di valutazioni. Ovunque è andato, Allegri ha cercato di capire innanzitutto quello che aveva a disposizione, poi ci ha messo qualcosa di suo.

Privandosi di Allegri, la Juve ha perso la capacità di sapersi adattare alle situazioni?

La Juve ha provato a consegnare la squadra degli scudetti ad un allenatore che potesse darle un gioco più spettacolare. Secondo me è la qualità dei giocatori a fare la differenza. Alla Juve con il fatto di dover vincere sempre e comunque forse questo passaggio non è fattibile. Ricordo tante partite bellissime della Juve di Allegri: la rimonta clamorosa nel ritorno con l’Atletico Madrid agli ottavi di Champions, la gara a Madrid e quell’eliminazione dolorosissima ai quarti per il rigore segnato da Cristiano Ronaldo. Credo che quella squadra avesse bisogno solo di una o due pedine per innalzare definitivamente lo step qualitativo.

Quanto c’è del Bucchi giocatore nel Bucchi allenatore?

Tutto! Il passato e le esperienze ci formano. Chi ha fatto un salto dall’Eccellenza alla Serie A non ha paura dei confronti. Non mi spaventano le sfide. Questo è un mestiere in cui lavori in maniera maniacale fino al sabato, ma la domenica può accadere di tutto: se vinci sei gratificato, se perdi perché dopo 30 secondi c’è stata un episodio a favore degli avversari tutto viene cancellato dalla sconfitta. Serve equilibrio. Non bisogna né esaltarsi troppo né deprimersi eccessivamente. Bisogna godersi fino in fondo ogni singola vittoria e bisogna sapere dare importanza ad ogni sconfitta.

Nel 2000 lei è stato costretto a fermarsi per la positività al nandrolone: cosa ricorda?

C’è stata incredulità. Non avrei mai commesso una stupidaggine del genere. Sono stato trovato positivo al nandrolone scoppiato due-tre mesi primi coi casi Caccia e Sacchetti, Kallon e Gillet. Abbiamo fatto il body test, che permetteva di analizzare l’evoluzione muscolare di un atleta: i risultati hanno confermato che non c’erano state modifiche innaturali. Arriveranno le positività di Davids e Couto, Frank de Boer, Blasi e Pavan. Ti squalificavano e ti sentivi colpevole per qualcosa che non avevi commesso. Quando è nato il problema sono scesi in campo i membri più importanti dell’AIC. Ricordo le riunioni con Rui Costa, Marchegiani, Gattuso e Albertini. C’è stata una presa di coscienza e ci è stata ridotta la squalifica da 16 mesi ad 8. Ho perso un anno della mia vita. Avevo 23 anni ed è stato difficilissimo da accettare.

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