NAPOLI – Se il richiamo del cuore, in questo gigantismo della retorica figlia del calcio, soffoca la ragione, bisogna evitare di sistemare la testa nella sabbia e fingere che non stia succedendo niente. Ma in una vicenda così pruriginosa, parente stretta dell’“etica” contemporanea e derivazione del linguaggio da social, sembra che si sia perduto un po’ il senso dell’orientamento e si resti ingabbiati tra l’enfasi e il provincialismo (che non è un’offesa, eh). I fatti che alimentano le opinioni sono racchiusi in una lettera social degli ultras della Salernitana – un invito o un brusco suggerimento, fate un po’ voi – nella quale abbondano «l’identità», la «tradizione», la «dignità», «l’orgoglio», un vocabolario ridondante per arginare il rischio, il pericolo o semmai la tentazione ai tifosi del Napoli con residenza a Salerno di regalarsi un attimo di felicità, fosse anche con se stesso, festeggiando.
Il comunicato
«Napoli sta per vivere il suo sogno, com’è giusto che sia, ma questo non ci appartiene». Non è necessario essere vecchi per accorgersi che il Mondo è cambiato, né si può pensare di starsene a rimpiangere il tempo perduto, pieno di quei valori che spesso inducono a sospettare quanto “si stesse meglio quando invece pareva di stare peggio”: adesso va così, è stata ribaltata anche la geografia del tifo, che ha riscoperto prepotentemente, e talvolta in misura sgradevole, il campanilismo; ma ci sono universi, neanche poi così lontani, dove i signori dell’appartamento a fianco riescono a convivere amabilmente, persino deliziosamente, sullo stesso pianerottolo prendendosi in giro o rallegrandosi. I confini della passione sono semoventi e Salerno ha il diritto di riconoscere a quella curva, che è un manifesto della propria devozione, il personalissimo senso d’appartenenza, ma negare al vicino della porta a fianco il piacere di viversi un’emozione è un abuso che non può appartenere al dna di questo tempo, sa di sconfitta morale, è un graffio nella carne che fa sanguinare i principi più banali d’una convivenza che fuori dallo stadio invece esiste e, semmai, al triplice fischio finale diventa divertissement. Le nuove generazioni ignorano il passato, ne sono distanti o talvolta lo rifiutano, ma quando le immagini del calcio erano in bianco e nero, a dar loro forma e colore c’era questa fusione senza frontiere che Salerno sviluppava meravigliosamente, standosene nel suo vecchio, caro “Vestuti” con la radiolina accesa per collegarsi con Napoli (oppure con Milano o con Torino, ma cosa importa?).
L’evoluzione cambia i sentimenti
Poi l’evoluzione ha modificato i sentimenti, e ci sta, ha trasformato la Salernitana in una realtà del football 3.0, le ha concesso ciò che gli sforzi, i sacrifici e gli investimenti hanno inseguito, la sua terza stagione in Serie A; e a guidarla, ma guarda un po’, c’è un manager – Iervolino – che non ha mai “ripudiato” i propri sentimenti giovanili, né li ha accantonati sull’uscio dell’anima. Sull’argomento è vietato fare sociologia spicciola, materia scivolosa quando si applica al calcio, ed è però consigliato di spogliarsi da quest’integralismo ideologico per abbandonarsi al vissuto di due città che almeno fino a venti anni fa sembravano fatte l’una per l’altra e forse lo erano davvero, l’una nel “rispetto” dell’altra.
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