“Giacche e porte rotte, un martello alla Conte”. Inzaghi raccontato… dal suo pupillo

Lorenzo Silvagni, difensore prediletto del nuovo tecnico dell’Inter nelle giovanili della Lazio: “Il suo ciclo a Roma era finito, è un combattente mai sazio”

Francesco Pietrella

30 maggio – Milano

Simone Inzaghi allenatore nasce a Rivisondoli, Abruzzo, estate 2010. Ciuffi d’erba sparsi a chiazze e un hotel lontano dal campo: “Ogni giorno una fatica, prima di arrivare ci aspettava perfino un salitone…”. Manifesto di vita e carriera, successi costruiti col tempo e i sacrifici, perché il primo allenamento di Inzaghi è stato in un paesino di 700 anime ai confini del pallone. Con una salita da fare ogni giorno: “Era impacciato, ma quanta passione”.

Allievi Regionali della Lazio, Lorenzo Silvagni racconta e ricorda. Il primo testimone. “Siamo partiti da lì, poi con la Primavera abbiamo vinto tutto”. Centrale, mezzala, poi anche capitano. Oggi gioca a Cerveteri, Eccellenza laziale, ma per anni è stato il più fido scudiero di mister Inzaghi: “Alla voce pupilli va scritto il mio nome”.

Da Rivisondoli all’Inter Campione d’Italia: se lo aspettava?

“Certo. Io prima tifo per lui, poi per la Lazio. E il suo ciclo a Roma era finito. Ai nerazzurri può solo migliorare. In più, è proprio come Conte”.

Trova somiglianze?

“Moltissime. Al di là del modulo, sono due comandanti. Due combattenti mai sazi. Con noi era un martello”.

Guai a farlo arrabbiare, quindi.

“Scherza? Meglio di no. Ricordo una partita con gli Allievi Regionali, sono passati 10 anni ma è ancora lì, marchiata a fuoco. Siamo sotto 3-1 a pochi minuti dall’intervallo e Simone impazzisce, si sbraccia, così la giacca si rompe a metà sulla schiena. Negli spogliatoi ci fa un’altra ramanzina urlando più di quanto visto in campo, e poi ci dice. ‘Ora uscite, vincete e poi ripagatemi la giacca’. Andrà proprio così: 4-3 per noi”.

Quell’anno avete vinto il campionato.

“Grazie a sfoghi come quello, mi creda. Lui è così, ti fa sentire indispensabile anche se giochi 10 partite l’anno. Affamato di vittorie. Nelle partitelle del giovedì aveva vietato il pareggio, si usciva dal campo solamente con un successo di una delle due squadre. In una di queste, abbastanza sentita, mi scontro con Luca Crecco e ne usciamo male: io con un taglio al sopracciglio, lui con un occhio nero. Simone, scherzando, ci disse che avrebbe reintrodotto il pari”.

Come lo vede ai nerazzurri?

“Saprà gestire la sfida. Non è uno che ha paura, anzi. È ambizioso, di carattere, ce lo vedo. In più il modulo è rodato”.

Conoscendolo, quale sarà il “ruolo” più forte?

“Direi i famosi ‘quinti’. Gli esterni a tutta fascia”.

Con voi ha mai cambiato assetto?

“Giocavamo col 4-3-3 perché avevamo un grande attacco. Rossi, Palombi, Oikonomidis, Tounkara. Solo una volta siamo passati a 3: semifinale di ritorno di Coppa Italia Primavera, a Ivrea con la Juve nel 2015. Pareggiamo 1-1 e segno io. In finale battiamo la Roma all’Olimpico”.

Ricorda il primo suo allenamento?

“E chi se lo scorda. Prima del ritiro di Rivisondoli ci allenammo sei o sette volte per farci conoscere da lui. Era un po’ impacciato, le sedute erano quasi sempre uguali con pochi ‘giochini’ tattici, ma ci sta. Ricordo il pallone sempre al centro della scena però, quello sì, e una passione fuori dal comune. Seguiva tutto. Quando gli attaccanti sbagliavano un movimento lui fermava il gioco e faceva vedere a tutti come fare”.

Un altro marchio di fabbrica: cambiare i ruoli.

“Una delle prime ‘cavie’ sono stato io (sorride). Ogni tanto mi ha fatto giocare anche da mezz’ala, mi sono trovato bene. Alla Lazio ci sono stati vari casi: Marusic, Parolo, Akpa, Luis Alberto. È il suo segreto. Per lui ti butteresti nel fuoco”.

Anche se lo facevate arrabbiare.

“Manco poco, come si dice a Roma. Con lui ho vinto due Coppe e una Supercoppa Italiana, ma al di là dei successi ricordo le incazzature. Nell’ultimo anno di Primavera, a Napoli, subiamo gol dopo 20′ a causa di un mio errore. Entra negli spogliatoi arrabbiatissimo, e la prima cosa che fa è dare un calcio alla porta. Ha zoppicato per un mese”.

Anche così ha costruito un grande gruppo.

“Io, Lombardi, Filippini, Pollace e molti altri siamo amici ancora oggi. Con noi c’era anche Mirko Fersini (scomparso nel 2012, ndr.). Simone è sempre stato legatissimo a lui e alla sua famiglia. Nel 2017 gli ha dedicato la Supercoppa vinta con la Juve. Un gesto enorme”.

Insomma, tiferà sempre per lui.

“Non potrei fare altrimenti. Inzaghi è questo. Mentalità, carattere, approccio, passione. Conte è un Simone all’ennesima potenza”.

Precedente Lazio, ore decisive per Sarri. Contatti anche con Villas-Boas, Italiano e Gotti Successivo Ricordate Manaj? Meteora all’Inter, ora star nel Barça B: "Ho sbagliato, sono rinato. E la Serie A..."