Furia Mourinho: chi parla nella Roma?

ROMA – Ci ha pensato su un minuto buono, poi ha percorso le scalette che conducono negli spogliatoi lamentandosi in portoghese («Ma davvero ha espulso me?») e infine è salito su un’auto che lo ha condotto lontano dallo stadio Olimpico. Da qui è nata la decisione, condivisa ovviamente con la società, di non presentarsi al rituale delle interviste. A quel punto Tiago Pinto ha comunicato all’ufficio stampa che nessun tesserato della Roma avrebbe commentato la partita pareggiata con l’Atalanta. José Mourinho era furibondo per l’arbitraggio di Aureliano, che a suo parere aveva commesso una serie di errori gravi di gestione: il primo è il “perdono” di Scalvini, che è stato ammonito e non espulso per somma di falli; il secondo è la mancata concessione in diretta del rigore, per il contatto molto ruvido tra Karsdorp e Ruggeri; il terzo è aver ignorato la trattenuta di Kolasinac su Dybala, sul finire del primo tempo, quando l’eventuale fischio avrebbe potuto determinare almeno l’ammonizione del difensore, poi effettivamente sanzionato nella ripresa. Mourinho è poi esploso nel recupero del secondo tempo – era stato però già ammonito – per un episodio meno importante, per una valutazione sgradita di scarsa rilevanza. Segno che si era innervosito oltremodo prima. Con questa espulsione ha però soltanto ottenuto il risultato meno gratificante: mercoledì, serata di Coppa Italia, andrà in panchina nel derby ma non potrà guidare i giocatori a San Siro durante Milan-Roma. Per la seconda volta in stagione si accomoderà con noi in tribuna stampa, protetto da un cordone di sicurezza tra le centinaia di foto dei tifosi che occupano i posti di tribuna rossa.

Il silenzio di Mourinho

Era già successo a Mourinho di non parlare dopo le partite, era già successo alla Roma di chiudersi nel silenzio stampa secondo la logica descritta nell’Ottocento da Thomas Carlyle. «La parola è d’argento, il silenzio è d’oro» garantiva il filosofo scozzese, evidenziando il valore del tacere in momenti strategici. Il punto è che in questa circostanza, nonostante le ruvide rimostranze televisive dell’allenatore avversario Gasperini, la società aveva davvero poche alternative per difendere le proprie tesi. I Friedkin non erano all’Olimpico e comunque non si sarebbero mai esposti attraverso un comunicato di censura per l’arbitraggio: non hanno espresso la loro posizione neppure dopo la finale di Budapest, in cui gli errori dell’inglese Taylor incisero non poco sulla sconfitta. Tiago Pinto è ormai con la testa fuori dalla Roma, ha già comunicato le dimissioni e si sta dedicando solo alla conclusione di un mercato accettabile, sia in entrata sia in uscita. Lina Souloukou infine, pur essendo molto coinvolta nelle vicende della squadra, non è mai uscita allo scoperto da quando è stata assunta come Ceo per commentare questioni calcistiche.

L’attesa di Mourinho

Si torna quindi all’assenza, rumorosa quanto il silenzio, di un dirigente che sappia esprimere davanti a microfoni e videofonini la posizione politica del club, magari supportando l’allenatore nelle battaglie. Mourinho aveva chiesto un sostegno proprio a Budapest, per non doversi sempre posizionare in prima linea, ma non è mai stato accontentato. Adesso, sperando nel rinnovo del contratto in scadenza, non sarà lui a tornare sull’argomento alimentando tensioni interne. Così come non insisterà per suggerire ai Friedkin un valido erede di Tiago Pinto, il direttore sportivo che si vanta pubblicamente di averlo scelto nel 2021 pur sapendo che la storia è molto diversa: a volte le parole sono di un metallo meno nobile, anche dell’argento.


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