Dacourt: “Vi racconto l’Inter di Mancini e Ibra. Mourinho l’uomo giusto per la Roma”

Prima era il giocatore dietro le punte, ora è l’uomo dietro la cinepresa. Ragionatore in campo, pensatore fuori. Col pallone tra i piedi prima, nel cuore oggi. Questa è la storia di Olivier Dacourt, l’ex ragazzo di Montreuil diventato uomo a Strasburgo e campione in Italia. Roma lo ha accolto a braccia parte, Milano nerazzurra lo ha ripagato dei sacrifici di una vita. Sono trascorsi più di dieci anni dall’addio all’Inter del primissimo José Mourinho alla vigilia del Triplete. Il tempo passa, per i rimpianti non c’è spazio, resta il ricordo del bene ricevuto. Così Dacourt torna spesso in Italia per dire grazie. L’ex centrocampista ha eletto Bordighera terra di mezzo tra Francia e Italia. Nella sua seconda vita adora il confine, posto perfetto per cogliere tutte le sfumature. Come faceva già in campo, tra attaccanti e difensori. Con amore.

Olivier, che cosa fa oggi nella sua vita?

Ho realizzato tre documentari. L’ultimo è appena uscito, si chiama “Papa” e racconta il rapporto tra genitori sportivi di successo e i loro figli. Il primo invece si intitola “Io non sono una scimmia” e parla del problema del razzismo. Il secondo, “La mia parte d’ombra”, analizza tutte le difficoltà che un atleta di alto livello incontra nella sua vita. Faccio anche l’opinionista per Canal + seguitissimo in Francia: sono ospite in studio. Continuo ad occuparmi di calcio nella mia vita.

Come è nata la sua storia con il calcio? Chi ha portato il pallone in famiglia?

Mio padre era medico, mia madre infermiera. Lavoravano entrambi nella sanità. Io ho conosciuto il calcio grazie a mio zio. Ho cominciato a giocare e mi sono innamorato del pallone. Da ragazzino avevo due miti: Kevin Keegan e Alessandro Altobelli. Erano grandi attaccanti. Io sono nato trequartista, poi sono scalato un po’ dietro. Ho giocato con calciatori top: allo Strasburgo ricordo Aleksandr Mostovoj. Per avere più equilibrio in campo ho fatto un passo indietro e poi ho continuato in quella posizione.

Che cosa ricorda dei suoi inizi in Francia?

Ho cominciato allo Strasburgo: devo tutto a questo club. Non è stato semplice per me. Ero vicino alla Germania, ero molto giovane e vivevo lontano da casa. Non c’erano nemmeno i cellulari all’epoca. Ho fatto grandi sacrifici per cominciare questa carriera, ma ne è valsa la pena.

Nella stagione 1998-99 lei è passato all’Everton di Marco Materazzi: vi lega ancora un rapporto speciale?

È stata una grande esperienza. Io e Marco eravamo i calciatori stranieri della squadra. Ci siamo trovati subito bene. Poi ci siamo riabbracciati in Italia qualche stagione dopo: è stato Materazzi a spingermi verso l’Inter dopo l’addio alla Roma. Mi ha detto che era la squadra giusta per vincere. Così è stato.

Cos’è Roma-Inter per lei a distanza di anni?

È una partita speciale. Sono le due squadre italiane in cui ho giocato e a cui sono più legato. Quando giocavo nella Roma ho perso due volte la Coppa Italia contro l’Inter, poi mi è successa la stessa cosa a maglie invertite: è curioso, all’inizio mi ha fatto male, poi l’ho superato. La Roma è stata la mia prima squadra italiana, all’Inter ho vinto tanto. Sono le due squadre della mia vita, faccio il tifo per entrambe.

Come vede questo Roma-Inter?

È favorita la squadra di Simone Inzaghi. In questo momento secondo me i nerazzurri hanno qualcosa in più e lottano da favoriti nella corsa scudetto. Però la Roma spinta dai tifosi può fare una buona partita.

Com’è stato il suo rapporto con Fabio Capello?

Mi sono trovato bene. Capello era un duro, molto severo, però a me piacciono gli allenatori così. Diceva sempre che cosa andava fatto e cosa no: era chiaro. Grazie al mister sono cresciuto tanto come calciatore.

Ha un ricordo legato a Francesco Totti?

In quella Roma c’erano grandissimi calciatori. Antonio Cassano era un genio. Totti, già una leggenda. Non capisco perché Francesco oggi non ricopra un ruolo in società: lui è la Roma, come Del Piero è stato la Juve, Messi il Barcellona. Forse sono un romantico, ma penso che il calcio debba funzionare così. Ci sono figure emblematiche per tutte le società e dovrebbe continuare a rappresentarle. Dico lo stesso per Messi: mi avrebbe fatto piacere se avesse chiuso la carriera al Barça, ma non è andata così. I calciatori sono dei professionisti e sulle scelte pesano tante variabili. Il Psg ha fatto comunque un grande colpo.

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