Come cambiano i tridenti: Leo con Mbappé e Neymar è il più forte di sempre?

Dai grandi danesi della Juve al Psg delle meraviglie, il tridente è sempre la formula magica che accende le fantasie dei tifosi

Andrea Schianchi

7 agosto – Milano

In principio non erano tre, ma addirittura cinque secondo i ferrei principii del “metodo” di Vittorio Pozzo. Cinque uomini chiamati ad accendere il fuoco della passione nel pubblico adorante. Tutti schierati dal centrocampo in su, con compiti diversi, e però tutti con un’idea fissa in testa: spingere il pallone in rete. Nel 1934 l’Italia vinse il primo Mondiale con questa linea offensiva: Guaita, Meazza, Schiavio, Ferrari, Orsi. Due ali che correvano parallele alle linee laterali (Guaita e Orsi), un centravanti muscoloso e potente (Schiavio) e due mezzali abili nel dribbling e nell’inserimento (Meazza e Ferrari). Fecero meraviglie, quei cinque, e nel 1938, al Mondiale di Francia, l’impresa venne ripetuta anche se con elementi diversi: Biavati, Meazza, Piola, Ferrari, Colaussi.

Numeri e talento

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Era il trionfo del metodo che, nell’aridità (e banalità) dei numeri, dovrebbe essere espresso con un 2-3-5 o 2-3-2-3. In lettere, volendo trasformare il calcio in linguaggio, sarebbe un «MM». Aldilà di queste quisquilie accademiche, sulle quali tanto si sono arrovellati semiotici e filosofi, resta il fatto che il metodo, dopo la Seconda Guerra Mondiale, venne abbandonato per fare posto al sistema di britannica invenzione. Rigide marcature a uomo, imposte dal famoso WM disegnato da Herbert Chapman, senza libero alle spalle delle linea difensiva così che, se il centravanti superava lo stopper, si trovava a tu per tu con il portiere avversario. Fu per questa ragione che, negli anni Cinquanta, gli spettatori ammirarono valanghe di gol. Ed è in quest’epoca che, nelle squadre italiane, cominciano a farsi largo i cosiddetti tridenti. Potevano essere formati da due ali e un centravanti, ma anche da due mezzali che s’inserivano e sfruttavano il movimento dell’attaccante posizionato nel cuore della retroguardia nemica. E, siccome non c’è limite alla fantasia, i tifosi iniziarono a creare veri e propri scioglilingua con i nomi dei loro eroi, e poco importa che fossero mezzali, mediani o centravanti.

Come filastrocche

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La Juventus dei danesi, nei primi anni Cinquanta, aveva nei due Hansen (Karl e John) e in Praest i suoi simboli, ma come dimenticare che a muovere le leve del meccanismo era un certo Giampiero Boniperti? Quindi venne il tempo del Gre-No-Li che incantò il popolo milanista, e poi Boniperti-Charles-Sivori che fece la fortuna dei bianconeri, e il pubblico s’innamorò a tal punto di questi tridenti, che in realtà non erano tridenti ma soltanto giochi linguistici, che il Quartetto Cetra ne mise in musica una versione famosa: ricordate «Vavà, Didì, Pelè / Tre giocolier di cioccolata / Del verde regno del caffè»? Nell’evoluzione del calcio, dalla pionieristica cinquina di Pozzo passando per i terzetti degli anni Sessanta, si arriva a un equilibrio che, per la gioia degli allenatori, garantisce efficacia, forma e sostanza. In genere, due punte e un trequartista, tipo Platini, Rossi e Boniek oppure Maradona, Giordano e Careca.

La novità

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E adesso si prospetta un altro trio magico: Neymar, Mbappè, Messi al Psg. Se si farà, lo sanno soltanto i dirigenti, i commercialisti e gli avvocati impegnati nella trattativa. Certo è che l’unione di queste tre anime del calcio moderno stuzzica non poco la fantasia. Ognuno con le proprie caratteristiche, ognuno figlio di esperienze inevitabilmente diverse, avranno il compito di mettersi a disposizione l’uno dell’altro per arrivare a formare un’idea filosofica da esprimere tra i fili d’erba di un campo di calcio. “Palla a quei tre e che ci pensino loro!”. Questa, più o meno, dovrebbe essere la sintesi del discorso. Non è detto che il ragionamento funzioni, anche il mitico Real Madrid di Gento, Puskas e Di Stefano fu annientato dal contropiede del mago Herrera al Prater di Vienna, ed era la primavera del 1964. Raramente il talento, e in questo caso si sta parlando addirittura di tre talenti, si può sommare algebricamente: se Messi porta in dote 50 gol, Mbappè ne consegna altri 40 e Neymar ne dona 30, non è scritto su nessun manuale del calcio che il Psg arriverà a realizzare 120 gol, cioè la somma totale. Il trio del Milan di Sacchi, formato da Rijkaard, Gullit e Van Basten, che cosa avrebbe conquistato se dietro non avesse avuto la ferocia di Baresi, la classe di Donadoni, la saggezza di Ancelotti e le sgroppate di Tassotti e Maldini? Tre uomini da soli dove possono arrivare contro un esercito di undici nemici? Neanche il mago Houdini riuscirebbe a risolvere il problema.

Trio magico

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Neymar, Mbappè e Messi costituiscono, di sicuro, un affare commerciale, prima ancora che sportivo. Si venderanno tante magliette, tanti gadget, la gente correrà negli stadi per ammirarli, ma non ci si stupisca se alla fine dell’avventura la bacheca resterà vuota. Puskas, Hidegkuti e Kocsic erano fenomeni, meraviglioso assemblaggio di bellezza, eppure nel 1954 dovettero lasciare il titolo di campioni del mondo ai tedesconi di Fritz Walter. E la Grande Olanda di Johan Cruijff, nel 1974, dovette inchinarsi all’intelligenza del Kaiser Beckenbauer e alla “rapinosità” di Gerd Muller. Non aveva un tridente, quella Germania Ovest, ma come giocava bene! E come sapeva annientare gli avversari!

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