Bertotto: “Che strigliate da Zac, io fuori dal Mondiale 2002 come Baggio. Su Dinho e Messi…”

Che cosa ricorda invece delle sfide con Ronaldinho e Messi in Champions League?

Messi era un ragazzino, Dinho ed Eto’o invece erano al top della loro carriera. C’erano Xavi e Iniesta, lo stesso Puyol. Sono orgoglioso di essere stato il capitano di quell’Udinese e il rappresentante di una città di centomila abitanti che si è fatta conoscere in tutto il mondo. Non eravamo più soltanto un puntino nel nord-est d’Italia, ma una realtà calcistica importante a livello internazionale. Quella Champions è stata la nostra consacrazione. C’è rammarico per non essere riusciti ad accedere agli ottavi di finale: siamo usciti per la differenza reti negativa rispetto al Werder Brema. Nell’ultima partita col Barcellona in casa siamo andati vicini alla qualificazione, ma non abbiamo saputo reggere. Abbiamo fatto una bella figura, degna della storia dell’Udinese. Tutti ci riconoscono il grandissimo lavoro che è stato fatto in quelle stagioni.

Che cosa è mancato all’Udinese nelle ultime stagioni?

Sono state prese scelte diverse da quelle del passato. Negli ultimi anni l’Udinese ha incontrato un po’ di difficoltà, c’è stata meno tranquillità. Il club però ha investito nelle strutture, in primis costruendo uno stadio di primissima qualità. Lo conferma anche la permanenza della squadra in Serie A da 27 anni. Potere assistere ogni domenica ad uno spettacolo di livello non è una cosa scontata.

Le è piaciuta l’Udinese contro la Juve?

Ha conquistato un pareggio con grande forza e volontà, ho visto un atteggiamento positivo. Però credo che la squadra debba essere completata. Le manca qualcosa. Il direttore sportivo Pierpaolo Marino è una persona capace e un professionista competente, non farà fatica ad individuare gli elementi giusti.

Lei ha sfidato il Venezia che oggi sfida l’Udinese: come vede la squadra di Paolo Zanetti?

Ho affrontato il Venezia l’anno scorso quando allenavo l’Ascoli. Mi ha dato l’impressione di essere una bella squadra e lo dimostrano i risultati che ha ottenuto. Al Venezia c’è simbiosi tra le idee del tecnico e le volontà della società. Questa è la base per creare i presupposti per un progetto vincente.

Che cosa c’è di speciale a nord-est in Italia? Che tipo di calcio si fa in quell’area?

C’è passione per lo sport in generale, c’è grande cultura. Ci sono grandissimi imprenditori. Ad Udine c’è un presidente che gestisce la società da più di vent’anni. Ci sono tante realtà con potenzialità e capacità notevoli. Per fare calcio ci vogliono buoni presupposti, professionisti serie e vere capacità economiche. Ci girano intorno tante persone che hanno delle famiglie. Serve professionalità come in tutti gli altri lavori.

Se le dico Paolo Poggi che cosa mi risponde?

Paolo per me non è solo l’ex compagno di squadra o di camera all’Udinese. Siamo veri amici. È stato per Poggi se sono andato al Venezia nella parte finale della mia carriera. Era scaduto il mio contratto col Siena in A e mi stavo allenando da solo. Mi sarebbe piaciuto chiudere la carriera all’Udinese e tagliare il traguardo delle 400 presenze in A. Non è stato possibile farlo. Paolo mi ha chiesto una mano per aiutare il suo Venezia da buon tifoso quale è. Ho accettato quella sfida e abbiamo salvato la squadra, dietro però c’erano delle problematiche societarie più grandi di noi. Paolo è una grandissima persona e sta facendo un lavoro strepitoso con Mattia Collauto. Spero che la loro squadra riesca a salvarsi quest’anno in A.

Dei campioni che le ha affrontato oggi Ibra è ancora in attività: che cosa ricorda di Zlatan?

Ibra è un highlander, un immortale. Ha fatto la storia del calcio. Con lui era tosta, una bella lotta. Con Zlatan devi essere pronto a tutto. Devi giocare con qualità e attenzione. Devi essere bravo a reggere l’urto. Fisicamente si faceva sentire. Se non eri in grado di competere al suo livello diventava dura. Dovevi aspettarti di tutto. C’è sempre stato uno scontro leale. È un calciatore e un uomo per bene.

Che cosa fa quando non fa calcio?

Gioco a padel come molti miei colleghi. L’ho scoperto tre anni fa, mi diverte. Faccio questo mentre aspetto. Non vedo l’ora di riprendere la mia vita da allenatore perché il calcio è il mio ossigeno e mi manca. Mi piacerebbe provare delle esperienze all’estero.

Precedente Lutto in casa Donnarumma, Gigio: "Zio, ti renderò orgoglioso" Successivo Ronaldo allo United, Georgina punge Ancelotti: "Dirà che non è vero?"