Van Basten e gli infortuni: “Non è valsa la pena soffrire per il calcio”

Il cigno di Utrecht traccia un bilancio della sua carriera. E tirando le somme, constata con amarezza alcune scelte che rimpiange.

Il 18 agosto 1995 finisce un’era per il calcio. Marco Van Basten, anello di congiunzione fra il calcio moderno e quello contemporaneo, lascia. La caviglia non gli dà tregua. Troppo dolore. Per lui, ma anche per il mondo del pallone che perde troppo presto uno dei suoi più grani artisti. Eppure riguardandosi indietro, il cigno di Utrecht traccia un bilancio della sua carriera. E tirando le somme, constata con amarezza alcune scelte che rimpiange. L’ex attaccante del Milan ha parlato qualche tempo fa in una intervista concessa alla BBC.

DOLORE – Un talento tormentato. La caviglia lo ha fatto soffrire moltissimo, costringendolo a un ritiro precoce, dopo due anni di tentativi di recupero vissuti con grandissima sofferenza. “Se avessi di nuovo la possibilità di scegliere il percorso da intraprendere, con tutta l’esperienza accumulata negli anni e considerando il dolore sopportato, penso che non ne sia valsa la pena La mia caviglia mi ha creato tanti problemi, ha influenzato la mia vita quotidiana. Ma a quel tempo il calcio era tutta la mia vita. Ora sono più grande, ho vissuto anche una vita senza calcio. E penso che si possa avere una esistenza appagante. Non esiste solo il calcio. Oggi prenderei una decisione diversa”.

DIFFICILE – Lasciare il calcio è stato difficile. Forzare ancora più doloroso. “Come giocatore sono morto. Ancora oggi non riesco neanche a giocare a calcio. Mi viene difficile, perché ho la caviglia fissata. Non posso calciare né fare alcun movimento con il piede. Per me è difficile da accettare perché prima di smettere non ho passato un giorno della mia vita senza aver toccato un pallone. Poi, improvvisamente, tutto è finito ed è stato molto doloroso da accettare”.

CRUIJFF – Spazio anche per i ricordi più dolci. Il calcio ha regalato anche momenti molto belli. Come l’incontro con Cruijff. “Era uno dei migliori, era il mio esempio. Per me era un eroe. Era una star, come George Best, era fantastico vederlo giocare e quando l’ho conosciuto penso che sia stato molto più facile stargli accanto e giocare, piuttosto che parlargli”.

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