Stadio di Milano, avanti su San Siro: dibattito pubblico, poi Sala punta a stringere i tempi

C’è distanza tra Milan, Inter e Comune. Ecco i passi per l’ok alla “Cattedrale”

Nel vecchio San Siro domani si gioca l’infinito derby di stagione: Milan e Inter su opposte barricate, dalla Coppa Italia alla A. Sul nuovo San Siro, invece, tutto si mescola da tempo e in quest’altra partita cittadina i due club marciano come alleati: da tre anni ormai sono uniti dalla volontà di dotarsi di un impianto all’avanguardia che sostituisca (del tutto) il precedente.

Bivio

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Hanno pure scelto il progetto della Cattedrale di Populous, ma nel mentre i rapporti col comune si sono però fatti freddini: così, mentre i due club spingono per non allungare ancora i tempi, riprende corpo la possibilità di trasferire il progetto altrove. Favorita l’area ex Falck di Sesto San Giovanni, lì dove ci sono però ancora incertezze sulle spese di bonifica e tempi incerti su un eventuale nuovo piano di mobilità. Da Palazzo Marino, però, non si deroga dalla strada tracciata dal sindaco Sala già dopo la rielezione di ottobre: sì al San Siro-bis senza tabù sulla demolizione del vecchio impianto, ma con un necessario coinvolgimento della popolazione. Del resto, sul nuovo stadio, su che fine debba fare il vecchio, sulle volumetrie e pure sul verde si discute da tempo. Così Sala è al passo d’avvio del “dibattito pubblico”, procedura prevista dalla legge nazionale e obbligatoria per le opere superiori ai 300 milioni (nel caso della riqualificazione dell’area di San Siro l’investimento è stato inizialmente stimato in 1,2 miliardi): da lì dovrebbero emergere delle precise linee di indirizzo da seguire. L’unica possibile deroga al dibattito era legata all’emergenza Covid, ma la Giunta non si è appellata alla norma che avrebbe concesso a Palazzo Marino di chiedere alla regione di non farlo per motivi sanitari: troppo delicata la questione, troppo distanti le posizioni nella maggioranza.

Gioco di incastri

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I due club aspettavano comunque un’accelerazione post-elettorale che, dal loro punto di vista, non c’è stata. Ora chiedono almeno un ok sul masterplan e, per far partire poi l’eventuale progetto esecutivo, dovrebbero spendere circa 20 milioni, troppi senza la certezza di realizzazione. Da Palazzo Marino, invece, filtra la volontà di far rientrare l’allarme sui tempi: tutto potrebbe esaurirsi in otto mesi circa, senza arrivare ai dodici che sono il massimo per legge. Così facendo, si conserverebbero quindi buone chance di avviare i lavori nel 2023. Già prima delle comunali di ottobre, lo stallo Inter-Milan-Comune sembrava evidente. Poi, dopo che i club hanno accettato la richiesta del sindaco di ridurre i volumi per adeguarli a quelli previsti dal Piano di governo del territorio, l’argomento era stato messo in soffitta in campagna elettorale. Una volta rientrato a Palazzo Marino, come promesso, Sala ha fatto seguire l’attesa dichiarazione di pubblica utilità. A complicare questi passettini di avvicinamento, semmai, è stato il dissenso crescente dentro alla maggioranza. Ad esempio, ha preso corpo la possibilità che tra settembre e ottobre si tenga un referendum comunale sul tema: la scadenza per la presentazione delle firme è il 5 marzo e, perché sia valido, dovrà andare a votare il 50% più uno degli elettori delle ultime comunali (250mila circa). Anche se basterebbe il dibattito pubblico a “sterilizzare” nei fatti il referendum, al momento manca forse un tavolo con tante sedie per gli attori in commedia: dalla politica cittadina all’amministrazione, dai club delusi ai comitati agguerriti, occorrerebbe tornare a parlarsi per capire se e come smussare gli angoli. In questo scenario, però, non è casuale che i due club siano vicini alla nomina di Beppe Bonomi come coordinatore del progetto: il manager che dovrebbe trasformare la Cattedrale da disegno in realtà è proprio quello che ha gestito la trasformazione delle ex Falck a Sesto.

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