Sconcerti: un uomo originale, spiazzante. Con il coraggio di andare contro la corrente

Non era mai banale e scontato, amava le sfide: dalla Fiorentina al web. Quelle notti passate in bianco…

Non aveva paura di andare contro la corrente, anche quando era impetuosa, anche quando prendeva le sembianze di un fiume in piena. Tutti dicevano bianco? Se pensava che la realtà fosse grigia, oppure nera, Mario Sconcerti si schierava contro la maggioranza di commentatori e tifosi. E difendeva con la dialettica e, se serviva, anche con i denti quella sua idea, che a volte era talmente originale da apparire estrema. Eppure, dopo averlo ascoltato, ti convincevi che in fondo la sua tesi non era affatto folle, anzi, e magari non cambiavi opinione ma quanto meno vacillavi. A volte, in quei momenti, così come dopo avere letto alcuni passaggi dei suoi editoriali, ti trovavi a pensare che quell’intuizione non era affatto stramba, ma addirittura geniale: come gli sarà venuta in mente?

Era questo, Mario, ma anche molto, moltissimo altro. Un professionista scrupoloso e appassionato; un esperto e un amante di calcio e di sport; un uomo intelligente e curioso, colto e amante dello studio, duro e al tempo stesso affettuoso. Non temeva le avventure, le novità, per questo aveva vissuto e lavorato in molte città, pur rimanendo profondamente fiorentino. E per questo aveva provato tutto ciò che gli era stato possibile. Era stato un cronista, ed era bello ascoltare le sue avventure d’antan al Giro d’Italia oppure a bordo ring (la boxe era uno dei suoi grandi amori, il babbo Adriano era un procuratore di pugili quando quella disciplina muoveva la passione delle folle). Aveva introdotto lo sport a Repubblica, era stato vicedirettore della Gazzetta dello Sport e direttore del Corriere dello Sport, ma aveva guidato anche il Secolo XIX, un quotidiano generalista e non sportivo. Era stato perfino dirigente di club in un momento difficilissimo per la sua Fiorentina, alle prese con il crepuscolo di Cecchi Gori: fu lui a volere a tutti i costi Mancini sulla panchina viola, per averlo si era scontrato con i regolamenti e con la Federcalcio; anche allora aveva lottato, anche quell’intuizione (ora possiamo dirlo) era stata a suo modo straordinaria. Era, adesso, il decano degli opinionisti del nostro giornalismo sportivo, editorialista del Corriere della Sera, impegnato in televisione e in radio.

Più volte ho sfiorato Mario durante il mio percorso professionale, l’ho incrociato in tv e nell’etere, finalmente ho avuto la possibilità di lavorare a stretto contatto con lui negli anni in cui ho diretto Calciomercato.com. Il Cappuccino con Sconcerti era l’appuntamento quotidiano, anzi mattutino, per gli utenti del sito, un’esperienza nella quale si era tuffato come al solito con entusiasmo e curiosità. Quando ha cominciato andava verso i settanta, ma quel mondo nuovo e per certi aspetti misterioso, il web, per lui era diventato un’altra terra da esplorare, un altro confine da superare, una nuova sfida. E l’aveva stravinta, anche quella: ne aveva prodotti a centinaia, di cappuccini. Ogni mattina, al risveglio, trovavo su whatsapp il suo audio e le sue 25-30 righe, un pensiero in punta di fioretto, oppure un’entrata a piedi uniti. Centrava sempre l’argomento, spesso era il più dibattuto del momento, eppure riusciva a offrire in ogni occasione una visione diversa, spiazzante. Era originale anche l’ora alla quale inviava quell’articolo e quell’audio, nella notte. Quando leggevo che aveva spedito tutto alle tre e mezzo, pensavo: ieri Sconcerti è andato a letto presto. Mario, ma perché stai sveglio tutta la notte?, gli ho chiesto l’ultima volta che sono andato a trovarlo nella sua casa romana (mi aveva invitato per dirmi che in Gazzetta, dove sarei andato di lì a poco, mi sarei trovato a meraviglia, ne era sicuro, perché era un mondo speciale). Ha risposto così alla mia domanda: ormai sono vecchio, voglio fare quello che mi piace, e a me piace stare in piedi fino all’alba a scrivere, lavorare, leggere, studiare. Anche quella volta non ho potuto far altro che pensare: sembra una follia, ma forse non lo è.

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