Forse l’ha immaginata così, nelle ultime 72 ore che, per lui, non sono state facili. Forse nella sua testa Lorenzo Pellegrini ha giocato spesso la partita contro l’Udinese che rappresentava, tra le altre cose, la centesima con la fascia di capitano al braccio. Un traguardo raggiunto a neppure 27 anni dopo aver alzato una coppa europea: cosa, questa, che non è successa a Di Bartolomei, Giannini, Totti, De Rossi e Florenzi. Altri nomi, chiaramente più o meno importanti, che più di tutti sapevano – e sanno – cosa significhi essere tifoso della squadra in cui si gioca: ogni gioia vale doppio, ogni sofferenza vale triplo. Per questo Pellegrini, stasera, ci teneva, e tanto, a fare gol dopo l’errore dal dischetto, e la brutta prestazione, di Rotterdam.
Pellegrini, dall’ovazione al gesto dopo il gol
Prima, durante il riscaldamento, c’è stata l’ovazione dello stadio, poi è arrivato lo striscione della Sud e gli applausi a ogni giocata. Come a volergli infondere fiducia. Al momento del rigore, quando sul dischetto è andato Cristante, in tanti si sono chiesti come mai: Lorenzo voleva segnare ma ha anteposto gli interessi della squadra ai suoi. A quel punto, dopo il gol di Bove, Pellegrini è sembrato essersi liberato di un peso: ha giocato meglio, è cresciuto minuto dopo minuto e, grazie a una splendida azione dell’amico Belotti, ha segnato sotto la curva Sud. E’ stato sommerso dai compagni, ma il suo pensiero era ai tifosi: ha fatto un cuore come fa la sua piccola Camilla, ha indicato la curva e poi ha allargato le braccia, come a scusarsi. Dopo, solo dopo, è tornato dai compagni e ha abbracciato Mourinho. Lo stadio lo ha applaudito a lungo e non è un caso che quando sia uscito i tifosi abbiano cantato: “Noi non ti lasceremo mai”. Una sintesi perfetta di quella che è stata la notte della Roma e del suo capitano.

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Pellegrini, l’abbraccio con Mourinho dopo il gol in Roma-Udinese
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