Retroscena Roma: Allegri ad un passo dalla panchina prima di Mourinho

C’è un agente, nel calcio italiano, che potrebbe arricchire di particolari questa storia. Campionato 2020-21, la Roma perde 0-2 in casa contro il Napoli, doppietta di Mertens. I Friedkin decidono quella sera stessa di chiudere la storia con Fonseca e contattano Allegri, in quel momento disoccupato (d’oro), attraverso il famoso agente. Appuntamento fissato al giorno X. Solo che il giorno X i Friedkin chiamano lo stesso agente e gli dicono di spostare l’incontro con Max di 24 ore. E Max, che del livornese ha anche il modo di ragionare di getto, risponde all’agente: “Sai cosa fai adesso? Dici ai Friedkin che domani sono io che c’ho da fare”. Sulla panchina della Roma andrà José Mourinho.

Schiaffi e abbracci

È l’ultimo incrocio fra due allenatori che si sono prima detestati senza risparmio di battute e poi si sono riappacificati, fino a stimarsi, entrambi iscritti allo stesso partito del bel risultato prima che del bel gioco. Sono gli allenatori con più vittorie in questa Serie A. Allegri ha la bacheca piena di scudetti, Mourinho l’ha riempita con qualcosa di ancor più prestigioso come le Champions, così Roma-Juventus prende ulteriore interesse ed è un peccato che domani sera Mou possa guardarla solo dalla tribuna. Si sarebbero abbracciati prima della partita e, c’è da scommetterci, avrebbero fatto a gara a fregarsi l’un con l’altro. In panchina sono due diavoli.

Patetico e banale

Un tempo sarebbe stato un duello ancora più elettrico. Quindici anni fa, Mourinho pizzicò Allegri per la storia della Panchina d’Oro, vinta da Max come allenatore del Cagliari. L’ardenzino gli rispose mostrando il lato scanzonato del suo carattere: «Per farmi innervosire ne deve fare un bel po’ di battute». Due anni dopo, fu molto più duro: «Dietro alla sua arroganza Mourinho nasconde delle insicurezze. Ogni tanto è patetico, ripete sempre le stesse cose, è banale». È andata avanti così finché un bel giorno, come succede spesso nel calcio e talvolta nella vita, i rapporti si sono aggiustati.

Stessa cultura

C’è un aspetto che li accomuna ancora prima del modo di pensare il calcio. Di fronte ad Allegri e Mourinho è impossibile restare indifferenti: o li ami o li detesti. Sono divisivi e sono orgogliosi di esserlo. Non fanno a mezzo con nessuno. Se devono dire una cosa, eccola spiattellata a uso e consumo di spettatori e diretti interessati. Non cercano vie di fuga, odiano le mezze misure. José è più spinto di Max, ma tutt’e due difendono con lo stesso vigore il proprio lavoro e il proprio club. Karsdorp e Pogba ne sanno qualcosa. Danno fiducia e la pretendono. Mourinho è diventato capopopolo all’Olimpico come Allegri lo era stato allo Juventus Stadium nei suoi primi anni, quelli dei cinque scudetti di fila. Quando ha deciso di tornare (sbagliando scelta), qualcosa si era rotto, soprattutto si era rotta la Juve, la sua Juve. Solo nel rapporto con la professione sono diversi. Allegri ha bisogno di ricaricare le energie fuori dal calcio, ha bisogno di altra vita per dare il meglio di sé; Mourinho sta 24 ore con la testa dentro il calcio, anche se “chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio” è una delle sue frasi storiche.

Calcio simile

Max è il rappresentante massimo del calcio italiano, Mourinho è il rappresentante massimo del calcio italiano fatto da uno straniero. Organizzazione, forza, solidità difensiva, compattezza, concretezza, fiducia totale nella qualità di chi ha qualità, come i due argentini Di Maria da una parte, Dybala dall’altra. Trascurano l’aspetto che per i loro detrattori è vangelo: il possesso palla. Fulminante la battuta di José dopo la semifinale della Champions 2010 dell’Inter a Barcellona, all’epoca allenato da Guardiola: «Loro felici con la palla, noi felici a Madrid», dove si giocò la finale vinta dall’Inter contro il Bayern. Hanno vissuto entrambi stagioni fantastiche, assai più ricche di quelle attuali. Per tornare a quei livelli con la Juve e la Roma servirà uno sforzo che né la Juve né la Roma di oggi sembrano in grado di poter sopportare. Non lottano più per lo scudetto, non giocano in Champions League, allenano squadre con ambizioni ridotte, con problemi economici e di altro genere (riferimento alla Juve). Nessuno dei due è certo di restare, ma la domanda è un’altra: Juventus e Roma, cambiando allenatori, sono certe di migliorare?


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