Nomi nuovi in mezzo e modulo antico: come cambia la Juve senza McKennie

Perso l’americano, la soluzione non è solo più spazio per Zakaria. Rimasto con soli quattro uomini per tre maglie nel reparto più travagliato degli ultimi anni bianconeri, Allegri ha due strade: cercare risorse interne per rinfoltire la mediana e ripensare ancora il sistema di gioco

Fino a inizio inverno Weston McKennie era sul mercato, più fuori che dentro la Juve, ancora senza una dimensione compiuta nel disegno di Allegri ma con un valore potenziale da cui poter ricavare un tesoretto, in caso di bisogno di far cassa. Fast forward di un paio di mesi e già solo essere qui a chiedersi come sarà la Signora del dopo McKennie è una fotografia di come è cambiata la Juve in questo periodo. E a maggior ragione oggi il problema è oggettivo, perché il tecnico perde una pedina importante non come perno della squadra ma come sua variabile impazzita. Per caratteristiche tecniche oltre che a livello numerico, doverne fare a meno cambia di nuovo le carte in tavola dell’identità tattica della Juve.

SENZA WESTON

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L’americano salterà sicuramente la doppia sfida di Coppa Italia con la Fiorentina, il ritorno col Villarreal, il big match di campionato con l’Inter e almeno altre sei partite di campionato nel pieno della corsa al quarto posto. Nell’immediato della partita di questo weekend a Empoli, la soluzione si chiama Denis Zakaria accanto magari a Manuel Locatelli. Sceso in campo da titolare in tre delle sue prime cinque partite bianconere, lo svizzero finora è rimasto fuori nelle due a più alto coefficiente di difficoltà, lo scontro diretto di campionato con l’Atalanta e l’andata degli ottavi di Champions League in casa del Villarreal.

REPARTO SCARICO

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Ma lì in mezzo restano ora solo in quattro: Zakaria appunto, Locatelli, Arthur e Rabiot. Numericamente pochi, soprattutto perché non è una situazione momentanea ma lunga almeno due mesi, tanto da non poter escludere in caso di necessità di tornare a rivedere il jolly Danilo in quella mediana dove lo sperimentò con successo Pirlo e lo ha riproposto Allegri proprio all’andata con l’Empoli. E quantitativamente sarebbe nell’ordine delle cose vedere aggregato con più continuità alla prima squadra il promettente ma ancora 18enne Fabio Miretti.

CHIMICA E NUMERI

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Al di là della questione numerica, ci sono implicazioni tattiche legate alle caratteristiche dei quattro “superstiti”, evidentemente diverse tra di loro ma con ruoli in larga parte sovrapponibili sullo scacchiere di Allegri. In breve, tre dei quattro possono giocare insieme con qualsiasi combinazione, in linea di massima: tutti capaci di giocare da mezzala (che per Rabiot è il ruolo naturale), quasi tutti (tranne il francese) capaci di giocare davanti alla difesa, di cui un paio (Locatelli e Arthur) con più spiccate doti di regia o quantomeno palleggio. Ma che prospettiva ha un sistema in cui ne resta solo uno in panchina da giocarsi a partita in corso? Al netto di infortuni e squalifiche che da qui a (minimo) due mesi possono capitare, e ridurre ulteriormente il contingente.

CENTROCAMPO PARI

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Per questo, per mancanza (numerica in primo luogo) di centrocampisti, ha senso immaginare che quel 4-3-3 su cui Allegri ha costruito l’identità recente, nuovo ruolo di Morata compreso, possa diventare sempre meno centrale. Ritrovando magari il 4-4-2, complice il rientro atteso e forse non più lontano di Bernardeschi, che però ha il difetto di prevedere solo uno tra Dybala e Morata di fianco a Vlahovic. A meno di puntare sulla più offensiva variabile del 4-2-3-1. Ma in ogni caso con un centrocampo “pari”, con in mezzo due tra Locatelli, Zakaria e Rabiot, e con vista sulla fascia sinistra per Rabiot, e una rotazione complessiva molto più equilibrata. Ma la Juve costretta ancora a cambiare pelle dopo più di sei mesi dall’inizio della stagione.

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