Mauro Berruto: “Vincolo anticostituzionale ma ora fermiamo i predatori”

L’argomento è divisivo, polarizza, tocca pancia, portafoglio e sentimenti. E coinvolge tutto lo sport italiano: l’anacronistico vincolo è ormai un retaggio del passato, ma a quale prezzo? «Non è solo anacronistico. Da quando è stato modificato l’articolo 33 e il diritto allo sport è riconosciuto nella nostra Carta, il vincolo è anche anticostituzionale perché limita la libertà», è il pensiero di Mauro Berruto, ex ct dell’Italvolley e oggi deputato e responsabile sport del Pd. Il mondo dei dilettanti ritiene che stavolta, dopo aver resistito al terremoto del Covid, ci sia il rischio concreto di chiudere bottega. Due giorni fa a lanciare l’allarme era stato Gianfranco Zola, intervistato dal nostro direttore, ieri si sono unite all’appello/denuncia le società di base che da decenni riforniscono l’alto livello di campioncini in erba. Siccome non esiste più il legame pluriennale tra atleta e club, i professionisti stanno facendo razzia di talenti nei vivai e i premi legati alla valorizzazione, pur resistendo, non coprono la voragine generata dall’impossibilità di fare cassa tramite la vendita dei cartellini.

Berruto, sarà anche un problema di soldi, ma non rischia di venir giù tutto?
«È un problema di sopravvivenza delle realtà di base. Ma non prendiamoci in giro: sappiamo tutti, da decenni, che sostenere il vincolo è come andare a 140 all’ora contro un muro e poi prendersela con chi l’ha messo».

Si riferisce alle tante storie di giovani rimasti bloccati per anni poiché le società non liberavano i cartellini?
«Negli anni è successo di tutto, la situazione stava diventando insostenibile».

I club, però, non hanno più programmazione.
«E questo mi preoccupa enormemente. Le federazioni però non hanno mosso un dito e sui premi di formazione si deve fare di più… È in atto un meccanismo predatorio da parte delle società di Serie A e direi più in generale di alto livello. Risolviamo questo, poi discutiamo se è la legge il problema o se lo è il modello che stiamo adottando».

Le società restano alla mercé degli squali, le federazioni sostengono di aver fatto il massimo per garantire premi che però non bastano. Come si risolve il problema?
«Con una visione. Anziché avere un atteggiamento predatorio nei confronti della base, i club pensassero a come valorizzare i giovani italiani. C’è stato un abuso del decreto crescita, usato come incentivo fiscale per acquistare all’estero».

Un presidente di una società ci ha detto: «Fino al 2019, il premio che un club di A doveva a uno dilettantistico era di 19.906 euro e andava ripartito tra le due società che avevano avuto il ragazzo negli ultimi tre anni. Dopo il Covid siamo arrivati a 10.908 per le tre società degli ultimi cinque anni e dal primo luglio siamo vicini allo zero».
«Approfondire lo strumento dell’apprendistato può essere una soluzione. E, a proposito di soldi che mancano, se penso che con le commissioni monstre ai procuratori potremmo fare una finanziaria per lo sport risolvendo il 99% dei problemi dello sport di base… Mi appello al ministro Abodi affinché faccia partire un tavolo di lavoro che accompagni la riforma nella sua messa in azione».

Zola ha evidenziato anche le problematiche del lavoro sportivo.
«Ho una stima totale e incondizionata nei confronti di Gianfranco Zola e Matteo Marani, persone di qualità e visione, ma sul tema c’è troppa confusione. Se c’è un risultato che i correttivi di questa riforma hanno prodotto è stato mettere in sicurezza coloro i quali hanno un rapporto economico inferiore ai 5mila euro l’anno, proprio i volontari di cui parla Zola, sui quali la legge dice che c’è impatto pari a zero dal punto di vista economico e burocratico. Non servono i contratti Co.co.co e neppure i cedolini, non c’è Inail. E a chi guadagna più di 15mila euro faccio il mio esempio: per 25 anni ho lavorato, allenando anche in A1 e in Nazionale, senza che il mio lavoro subordinato fosse riconosciuto. Oggi i lavoratori dello sport hanno dei diritti, è una questione di dignità».

È quindi convinto che senza questa riforma lo sport sarebbe stato un posto peggiore?
«Le ricerche indipendenti parlano del 3% in più di costi, non del 30% come leggo. Gli oneri maggiori sono per i rapporti superiori ai 5mila euro. Non tutti sanno che nell’ultimo anno ci sono state 37 sentenze della Corte di Cassazione con lo stesso esito: l’ultimo grado di giustizia ha detto che vanno riconosciute come lavoratori. Se non fosse entrata in vigore la riforma, quelle sentenze avrebbero avuto un valore retroattivo. Avremmo avuto migliaia di ricorsi. Sarebbe stato il vero Armageddon dello sport».


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