Le colpe del gemello cattivo

Di Inzaghi l’Italia ne ha tre. Pippo sta a Reggio Calabria, e d’accordo. Ma poi ci sono gli altri due, Simone e Simone. Un Simone che nelle partite secche, adrenalina a getto, tensione a mille, dentro o fuori, ci sguazza da signore e porta sempre a casa i risultati. L’altro è il Simone imbambolato e confuso, impacciato e incerto, che si barcamena in Serie A, un Simone che perde undici partite di campionato, quattro nelle ultime cinque, uscendo (quinto posto) persino dalla zona Champions, più che altro senza dare la sensazione di prendere in mano la situazione e ribaltarla come Dio comanda, o come semplicemente pretende il padrone.

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Uno sdoppiamento di personalità

I due Simoni siamesi sono entrambi a libro paga dell’Inter, che ancora non sa quale razza di allenatore abbia in carico. Tanto che in definitiva pure l’Inter stessa, come vertici aziendali e come ambiente in generale, vive ormai uno sdoppiamento evidente di personalità. Soltanto mercoledì, il giorno dopo la vittoria di Lisbona sul Benfica, era Interissima, era Inzaghissimo, era euforia allo stato brado. Tre sere dopo, non tre ere geologiche, era già un altro film, in un’altra galassia spaziale: sconfitta col Monza e tutti subito a riprendersi in mano il filo del discorso abbandonato prima della Coppa, Inter senz’anima, Inter mollacciona, Inter inaffidabile, naturalmente battendo la sella per far capire all’asino, senza bisogno di specificare chi sia l’asino. Questo Inzaghi convocato e messo spalle al muro subito dopo la partita col Monza, nella sera stessa, negli spogliatoi stessi, è sempre il fratello gemello del Simone che nella notte di Lisbona, nello stesso spogliatoio, era considerato un mezzo genio, se non tutto intero. È chiaro ed evidente a tutti che l’Inter ama il Simone di Coppa e avvierebbe volentieri alla pastorizia quello del campionato. Sdoppiata pure lei, tra i superlativi di Coppa e le disperazioni del campionato, si ritrova nella condizione di non poter scegliere l’Inzaghi migliore: il pacco va preso per intero, e in questo pacco si nasconde il serio rischio di perdere i 60 milioni delle entrate per uno dei primi quattro posti. Ancora una volta, si parla apertamente di ultimatum, tutto legato a mercoledì, al ritorno col Benfica, ma a forza di sentirne andrebbe definito almeno ultimatissimum, il più ultimatum di tutti, benché la sciagurata idea di cambiare adesso l’allenatore, a meno di due mesi dalla fine dell’esercizio 2022-2023, si porti dietro un treno merci di pericoli.

Non è ancora un fallimento

Chiacchiere, ipotesi, elucubrazioni. Ma al netto del polverone, vale un solo dato: i due Simone insieme, l’uno e l’altro, possono ben dire d’aver vinto la Supercoppa, di essere in corsa per la Champions e per la Coppa Italia, d’essere comunque ancora lì a giocarsela in campionato, Napoli a parte. Non è oggettivamente la classica situazione da risolvere con l’impronta della scarpa sul didietro. Non è (ancora) un disastro. Non è (ancora) un fallimento. E tutto lascia pensare, parlando di umori bipolari, a una evoluzione che fra soli tre giorni potrebbe di nuovo esplodere nell’euforia collettiva. Il Simone impedito messo all’angolo dal Simone geniale. Così fino a giugno, quando entrambi cominceranno a gettare le basi per la prossima stagione. Che però non riguardano l’Inter, stavolta proprio no.


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