Juve, Danilo: il razzismo, il papà di colore e il fratello bianco attivista

TORINO – “Ho appena letto il libro di Viola Davis, Finding me. Lei racconta le storie di sportivi, artisti ed attori di colore e delle loro esperienze. Mi ha dato tanto questo libro, mi ha fatto riflettere molto sul razzismo. Il razzismo non è così evidente, è nascosto e non lo vediamo subito. Ma quando si riflette bene, si vede che è sempre qui e che dobbiamo combatterlo“. Intervenuto nel corso del podcast ‘Sulla Razza’, pubblicato sull’account ufficiale YouTube della Juventus, il difensore brasiliano Danilo affronta questa delicata piaga sociale con Nadeesha Uyangoda e Nathasha Fernando: “C’è un filosofo brasiliano, si chiama Mario Sergio Cortella, lui parla di tante cose, compreso il pregiudizio razziale. Mi è rimasta in testa una cosa che dice: ‘Ci sono cose che sono naturali, che ci siamo nati e portiamo addosso. Poi ci sono le cose normali, che appunto fanno parte della norma nella società. E poi ci sono le cose abituali, che non sono necessariamente giuste o sbagliate, ma rimandano alla frequenza in cui avvengono’. E per me il razzismo è abituale, perché non è naturale e non è normale. Ogni tanto ci sono delle micro-aggressioni, da persone che non sanno neanche che le stanno commettendo, ma altre volte ci sono episodi più incisivi e volontari, con i quali dobbiamo essere più ‘cattivi’. C’è una differenza tra sentire ed ascoltare: le persone bianche devono ascoltare, avere empatia, prima di esprimere giudizi. Sempre secondo Cortella, a cui sono molto affezionato, un pregiudizio di qualunque genere è sempre un cancellamento del senso critico. Chi si macchia di pregiudizio razziale perde un’opportunità di imparare. Dobbiamo tutti seguire un percorso di crescita, sentendo ed ascoltando“.

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Danilo, il razzismo, il papà di colore e il fratello bianco ed attivista

Mio papà è nero e lui diceva sempre ‘Noi dobbiamo vestirci in un certo modo, dobbiamo comportarci in un certo modo. Persone come noi…’. Io sono cresciuto con lui. Non dico che sbagliava, ma era qualcosa che faceva parte di lui in quel momento. Noi in famiglia siamo 4 fratelli, tutti uomini e io sono il più grande. Il più giovane invece ha 23 anni, lui è di pelle bianca però ha i capelli Black Power ed è molto impegnato in queste tematiche. I miei genitori gli dicevano ‘Ma dove vai con questi capelli? Cosa penseranno di te, che non sei serio…’. Invece pian piano mio padre e mia madre hanno iniziato a guardarlo in maniera diversa. La loro generazione, secondo me, è troppo aggressiva. Per parlare con i nostri genitori dovremmo avere un modo diverso di parlare, per farci capire meglio, introducendo questi discorsi con calma. I miei genitori stanno capendo, hanno accettato i suoi capelli ad esempio, ma penso che il razzismo sia qualcosa di troppo forte nelle loro vite e serve parlarne con tatto. L’appropriazione culturale non è una cosa così brutta se riusciamo a far imparare alle persone il significato di quella cosa per chi l’ha inventato. Faccio un esempio: la capoeira in Brasile è comune, ma non tutti sanno che è stata inventata dagli schiavi che provavano a fuggire dai padroni, che provavano a riprenderli e loro usavano la capoeira per difendersi. Fa parte della nostra storia, è motivo di orgoglio per la nostra cultura, anche delle persone bianche, eppure la gente la pratica senza sapere cos’è. Pensate che fino al 1937 la capoeira era vietata in Brasile, perché era vista come una cosa brutta, che non si poteva fare. E invece è arte ed oggi è riconosciuta come patrimonio culturale del Brasile. Quindi, l’appropriazione culturale dovrebbe essere un incentivo a conoscere la storia, sarebbe un grande step di riconoscenza verso storia e cultura. Il razzismo si può guardare da diverse prospettive, sicuramente, ma il razzismo è il razzismo“.

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