Dybala e i 90 minuti di solitudine

Si direbbero cent’anni di solitudine, e sono solo novanta minuti, quelli di Paulo Dybala, la cui condizione di unico sveglio tra i dormienti vale quanto un eroico sacrificio. È commovente la sua ostinazione a battersi, a suggerire triangolazioni, a sfidare il raddoppio della marcatura con dribbling brucianti, a suggerire affondi che non hanno alcuna possibilità di essere sfruttati. Poiché la Roma, tutta intera, è in trance, annichilita da un’Udinese che la trascina errabonda da destra a sinistra, e da sinistra a destra, ubriacandola con l’agonismo e la velocità del palleggio. Dorme Pellegrini, l’ombra del capitano che guida, ispira e realizza. Annaspa Abraham in un’imbarazzante goffaggine, davanti agli occhi increduli del ct della nazionale inglese, in tribuna per lui. Rinuncia Spinazzola, dopo aver compreso che Pereyra non gli concederà un solo vantaggio nell’uno contro uno. Regala Karsdorp, credendo di stare in allenamento. Riflette Matic, con i ritmi di un attempato regista del dopolavoro. Inciampa Rui Patricio, consentendo a Samardzic di apporre con un sinistro insidioso, ma non impossibile, il sigillo del due a zero e della vittoria certa.

Una scivolata così infligge a Mou la peggiore sconfitta di tutta la sua carriera in Serie A. È tanto clamorosa che verrebbe voglia di archiviarla nell’imponderabile. E non pensarci più. Però, a voler guardare con coraggio dietro l’avvio double face di stagione, i segni di una certa fragilità agonistica c’erano già prima del tracollo friulano. Una squadra costretta a schierare Matic e Cristante sulla mediana non può pensare di sorprendere una provinciale agguerrita come l’Udinese di Sottil, capace di fatto di giocare con un 3-6-1 che consente di avere sempre in mezzo al campo agonismo e tecnica in dosi di perfetto equilibrio. Il trotto dei friulani ci ha messo pochi minuti per disarmare il galoppo dei giallorossi, imbrigliare il loro contropiede tenendo sempre corta la squadra, e ripartire cambiando le posizioni tra i diversi attori del centrocampo. La Roma ha dovuto gradualmente constatare che la capacità di giocare tra le linee si riduceva sempre di più, sino a scomparire del tutto, costringendo i giallorossi, costantemente pressati, a passare la palla indietro, quando invece avrebbero dovuto imporre il forcing per rimontare. Alla fine anche l’argentino ha alzato bandiera bianca, dopo ottanta minuti di vibrante, generosa e onerosa resistenza.

In attesa che Wijnaldum arrivi come la sorgente nel deserto a dissetare l’affanno della Roma, che Zaniolo ritrovi la salute e il genio delle giornate migliori, che Dybala possa fare la differenza dalla trequarti in su, come sarebbe giusto, piuttosto che sprecare energie a centrocampo pur di recuperare qualche pallone giocabile, in attesa del futuro che prima o poi verrà, Mourinho deve affidarsi alla saggezza del veterano serbo a centrocampo, messo sul mercato dal Manchester United dopo cinque stagioni. Che fosse Matic il puntello ideale con cui ridurre l’incompiutezza giallorossa in questo reparto, ci sia consentito di avere qualche dubbio. Ma è giusto attendere un numero più cospicuo di partite prima di azzardare giudizi perentori. Per ora la Roma deve svegliarsi dal sonno di Udine, e il tecnico portoghese certamente conosce le parole e i gesti per scuoterla.


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