Di Maria oltre le polemiche. Ma la Juve non lo segue

Cercare motivi per sorridere dopo una batosta del genere, può sembrare un puro esercizio di stile fine a sé stesso. Però, in casa Juve, forse non è davvero tutto da buttare. La lezione è di quelle da imparare a memoria, per ritrovare una sconfitta per 5-1 nella storia bianconera bisogna riavvolgere il nastro e arrivare fino al 30 maggio 1993 quando fu il Pescara del Max Allegri giocatore (pure in gol) a travolgere la formazione di Giovanni Trapattoni. Però qualcosa da cui ripartire, forse c’è. Anzi, qualcuno. Ed è Angel Di Maria. Perché il campione del Mondo argentino ha lanciato quei messaggi personali che servivano per dimostrare di non essere alla Juve di passaggio come temuto (o insinuato) da un’ampia fetta del popolo bianconero dopo la sua parte di stagione. Già, perché Di Maria c’è e l’ha dimostrato anche allo stadio Diego Armando Maradona. Dove la grande assente è stata la Juve, tutta la Juve. Nonostante un Di Maria ispirato, rabbioso, vero. 

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Da solo

Finché ha avuto benzina nel motore, lo show del Fideo ha tenuto a galla la Juve prima dell’inevitabile crollo della ripresa. Un primo tempo in formato Mondiale, solo contro tutti o quasi. Se l’è inventata lui l’azione che, con il Napoli già sull’1-0, lo ha visto intercettare il pallone telefonato di Rrahmani per poi pennellare una traiettoria che si è stampata in pieno sull’incrocio dei pali: è l’azione che sveglia la Juve, almeno per qualche minuto. E quando il Napoli raddoppia sfruttando uno dei tanti, troppi, regali della difesa bianconera ci pensa ancora Di Maria a riportare in vita l’illusione di una partita che in realtà nel secondo tempo non inizierà mai per la Juve: una serpentina, poi un’altra, una triangolazione, poi un’altra, infine il mancino che non lascia scampo a Meret per il momentaneo 2-1. Poi nel secondo tempo non ci sono più argini per il Napoli che dilaga. Ma se serve qualcosa, o per meglio dire qualcuno, da cui ripartire, la Juve allora può trovarlo nella classe di Di Maria. 

El Fideo c’è

Lui c’è. E ci sarà, almeno fino al termine della stagione. Con l’obiettivo unico di trovare quella continuità mai avuta nella prima parte di stagione, per un motivo o per l’altro. Subito un infortunio muscolare dopo il primo show col Sassuolo, poi le difficoltà nel tornare, l’espulsione di Monza e ancora gli infortuni: alla fine erano stati appena 391 i minuti giocati fino al Mondiale, pensiero fisso che secondo molti lo ha condizionato fin troppo. Adesso mezzo mondo lo chiama, c’è il sogno Rosario Central, c’è il derby brasiliano tra Botafogo e Internacional, ci sono gli Stati Uniti, gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita: ma almeno fino al termine della stagione lui vuole restare alla Juve per provare a lasciare anche qui il segno. A Napoli ci ha provato, per davvero. Ma è stato lasciato troppo solo.

Chiesa e gli altri

Sono firmati Di Maria gli unici lampi nella notte buia di ieri per la Juve. Un altro segnale positivo è quello rappresentato da Federico Chiesa che, nonostante una serata complicata, ha ritrovato una maglia da titolare a distanza di oltre un anno dall’ultima volta: anche lui ormai è tornato, in attesa della condizione migliore e di una collocazione in campo che possa permettergli di fare la differenza. Nei prossimi giorni poi toccherà pure a tutti gli altri, da Dusan Vlahovic a Paul Pogba in poi: entro fine mese Allegri spera di avere per la prima volta la rosa al completo. Per lo scudetto sembra troppo tardi, per gli altri obiettivi che restano non lo è.

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