Dalla scuola calcio “Gigi Riva” alla Nazionale: Barella raccontato da chi lo ha cresciuto

Lo hanno allenato. Ci hanno giocato. Lo hanno visto crescere. Cinque uomini di calcio raccontano gli inizi del centrocampista dell’Inter. “Non era quello con più talento, ma aveva una voglia feroce e non smetteva di correre”. Come oggi

Se il buongiorno si vede dal mattino, che Nicolò Barella sarebbe diventato uno tosto si è capito subito. “Ero amico di suo zio Pino, che aveva una casa in campagna. Con la famiglia, il sabato si andava a mangiare da lui e poi tiravamo quattro calci al pallone al campetto lì vicino. C’era questo bimbetto, avrà avuto tre o quattro anni, che si metteva in mezzo e sgambettava da una parte all’altra senza fermarsi mai. Correva dietro al pallone e lo voleva sempre tra i piedi, come fanno tutti i bambini. Guai però se la sua squadra perdeva: si arrabbiava moltissimo. Per educarlo alla sconfitta, Pino ogni tanto mi sussurrava: “Dài, facciamolo perdere”. Il problema è che poi quello piantava un casino da strapparti le orecchie”.

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