Dal “pirla” degli esordi alle manette, da Siena al triplete: i 10 momenti cult di Mou all’Inter

Lo Special One a Milano è andato oltre i trionfi, costruendosi un personaggio che ha segnato un’epoca

Furio Zara

21 aprile – Milano

Non bisognerebbe mai ritornare dove si è stati felici. E per Mourinho il bonus-felicità raddoppia: non bisognerebbe tornare mai dove hai reso felice un popolo, che per quanto lo riguarda è quello nerazzurro. Due anni, 2008-2010, cinque trofei tra cui il memorabile Triplete. Per i tifosi dell’Inter che oggi hanno dai cinquant’anni in giù: come Mou nessuno mai. Ha segnato un’epoca, ha condiviso un sentimento, ha rafforzato un’identità comune. Ecco allora 10 momenti cult del Mourinho interista.

Non era pirla

Come conquistare i tifosi alla prima conferenza

Inevitabile cominciare dalla frase che dà il titolo al film, subito dopo che il leone ha finito di ruggire. “Non sono un pirla”, firmato “Special One”. Domanda trabocchetto di un giornalista: “Pensa che Lampard potrebbe trovarsi bene nel calcio italiano?”. “Replica di Mou: “Perché mi chiedi di un giocatore del Chelsea?”. Controreplica del giornalista: “È un modo furbo di riproporre il tema che lei ha appena evitato”. Ovvero il mercato è il possibile arrivo di Lampard dal Chelsea. Stoccata epocale di Mourinho: “Sì, ma io non sono pirla”. Se l’era studiata, è un dardo nel cuore dei tifosi.

Le manette

Quell’arbitraggio di Tagliavento…

Inter-Sampdoria, febbraio 2010. Prova di forza dell’Inter che in 9 contro 11 blinda lo 0-0 contro i blucerchiati. L’arbitro Paolo Tagliavento espelle Walter Samuel e Ivan Ramiro Cordoba. Sono passati appena 38 minuti di gioco, fuori tutti e due. Mou nella battaglia si esalta. Così cerca la telecamera, incrocia le mani e fa il gesto delle manette. Più tardi Eto’ viene fermato fallosamente in area blucerchiata. Rigore? No. Tagliavento lascia correre. Si becca tre giornate di squalifica, ma niente sarà più come prima: il popolo nerazzurro è ai suoi piedi.

Mou e quel dialogo con Pep

Ma cosa gli avrà bisbigliato?

Semifinale di Champions 2010. Al Camp Nou, dopo che all’andata l’Inter si è imposta 3-1. Espulso Thiago Motta un attimo prima della mezzora, resistenza nerazzurra stoica, finirà 1-0 per il Barca, ma la vittoria non sarà sufficiente per i blaugrana. A un certo punto l’eterno nemico Pep Guardiola parlotta con Ibra, che l’anno prima ha lasciato l’Inter (scambio con Eto’o). Mourinho si avvicina, bisbiglia qualcosa all’orecchio di Pep, lo sguardo è una scintilla accesa, le mani in tasca, come chi passa di lì per caso: immagine in cui è fotografata tutta la potenza magnetica di Mou, il suo carisma, la sua capacità di calamitare l’attenzione in platea.

L’impresa di Stamford Bridge

La partita che marca un’epoca

Più ancora della finale, è questa la partita che marca un’epoca. C’è tutto Mourinho, tutto il suo ego, tutta la sua personalità, tutta la sua storia. È lui – alla vigilia – a convincere Eto’o a giocare arretrato, un terzino d’attacco, insomma a sacrificarsi per la squadra perché “la squadra viene prima di tutto”. Indovinate chi segna il gol che azzera le speranze del Chelsea (all’andata era finita 2-1 per l’Inter)? Proprio Eto’o, su lancio di un altro fedelissimo, Wesley Sneijder. Nel suo tempio Mourinho si riprende il proprio posto sull’altare di Stamford Bridge: esiste soddisfazione più grande?

Zero tituli

Il fuoriclasse degli slogan

Nota a tutti è la straordinaria abilità di Mourinho di creare dal nulla frasi-dichiarazioni-slogan che rimarranno nella storia, sua e del calcio. “Zero Tituli”, per esempio. Estrae il coniglio dal cilindro nella stessa conferenza stampa – marzo 2009 – in cui parla di “prostituzione intellettuale” (altra genialata, esattamente come “Il rumore dei nemici” qualche tempo dopo). L’Inter sta andando verso la conquista del primo scudetto targato José e lui che fa? Colpi di stiletto per Roma, Milan e Juventus. Tutte a “zero tituli”.

L’esultanza di Siena

Come sottolineare l’identità nerazzurra

20 dicembre 2008, ultimo turno di campionato prima della sosta natalizia. Delirio per Mourinho, che al gol decisivo di Maicon dalla panchina scatta come un centometrista e raggiunge il brasiliano sotto la curva nerazzurra per gettarsi nel mucchio selvaggio della festa. Libidine con i fiocchi. Foto da poster anche se la corsa è un vecchio pezzo del repertorio dello “Special One”: l’aveva già fatta a Old Trafford, quando alla guida del Porto passò il turno di Champions contro il Manchester United.

Il crocefisso al ragazzo disabile

L’arte di saper creare sempre empatia

Concetto chiave per capire Mourinho: empatia. La crea, la alimenta, la trasforma in vissuto. Come quella volta – novembre 2008 – in cui alla fine di un Reggina-Inter regala un crocifisso di Fatima (l’aveva preso la moglie quattro anni prima e lui l’aveva tenuto sempre in tasca) a un ragazzo disabile. Scoppia un’inutile polemica: il sindaco di Reggio, Giuseppe Scopelliti, polemizza e accusa Mou di aver allungato al ragazzo una moneta. Non è vero. È un crocifisso. Il sindaco si scusa, Mou chiude la faccenda nel suo stile. “Evidentemente sono sfortunato. Anche quando faccio un gesto affettuoso vengo criticato”. Se sei buono, ti tirano le pietre.

Quel cattivone di Mou

Quanto veleno per Ranieri…

Vecchie storie tra i due – fin dai tempi del passaggio di consegna al Chelsea – vecchie storie mai risolte, certo. Non è un caso che il primo bersaglio del Mou italiano sia Claudio Ranieri, che nel 2008 allena la Juve. “A quasi settant’anni Ranieri ha vinto solo una Supercoppa e una piccola coppa». Ma Ranieri all’epoca di anni ne ha 57 non 70. Che perfidia, Mou. E poi: ‘Prima di dire Good morning Ranieri ci ha messo cinque anni”. Ranieri glissa, evita di scendere nell’agone, si sfila. Passerà ancora qualche anno prima che i due simulino una specie di pace.

Lo Monaco del Tibete

La demolizione dell’avversario

Nei suoi innumerevoli duelli verbali, Mourinho conosce come pochi l’arte di maneggiare le parole. I giornalisti godono: “Mou un titolo lo dà sempre”. va così anche quella volta che se la prende con il dirigente del Catania Pietro Lo Monaco, colpevole di aver polemizzato sulla vittoria dell’Inter e di aver definito Mourinho “Uno da prendere a bastonate tra i denti”. Impagabile la risposta di Mou: “Lo Monaco chi? Lo Monaco di Tibete?”. E vabbè. L’ironia al vetriolo, l’alterigia, lo sfregio dialettico verso l’avversario: “Io conosco Monaco del Tibete, Monaco Montecarlo, Bayern Monaco, Grand Prix di Monaco”. E infine la chiosa: “Se qualcuno Monaco vuole essere conosciuto perché parla di me, mi deve pagare”. Sminuire l’avversario, smontarlo pezzo per pezzo, renderlo insignificante e portarlo al guinzaglio, per il pubblico ludibrio. Mou all’ennesima potenza.

L’addio tra le lacrime

Quell’abbraccio memorabile con Materazzi…

L’abbraccio con Marco Materazzi nel parcheggio del Santiago Bernabeu, vetta emotiva di una serata epocale segnata dalla conquista della Champions League. Mou sale su una macchina nera, la macchina parte, poi si arresta, Mou scende perché ha visto Materazzi, appoggiato con la schiena al muro. Lo abbraccia, affonda la testa nel petto di Matrix. Piangono. È finita. Addio Inter, le lacrime sui titoli di coda.

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