Quell’orgia del gol nel silenzio

ROMAUn’orgia di gol. Una depravazione per pochi intimi. Partite come happening, risultati che si ribaltano di minuto in minuto, pronostici stracciati, copioni forsennati, attraversati da una misteriosa follia. Nessuno più difende l’1 a 0, ma nemmeno il 5 a 4. Nessuno più difende niente. Le opinioni si dividono. La nuova via lattea del calcio moderno o un indecoroso colabrodo? La qualità o lo sbraco? Di sicuro, un’anomalia assoluta. Dopo quattro giornate, siamo alla media spaventevole di 3,7 gol a partita. Irreale. Se pensiamo che la stagione passata, la più prolifica degli ultimi settant’anni, si è “fermata” alla media di 3 gol a partita, che già sembrava un’irripetibile esagerazione. Accade in Italia, la patria per definizione del “primo non prenderle”, ma accade anche nel resto d’Europa, squadre come Liverpool, Manchester City e Barcellona che prendono solenni imbarcate. Che succede? Troppo strano e troppo replicato il fenomeno per liquidarlo come un caso. Né basta evocare i Gasperini, i De Zerbi, l’avanguardia di un calcio geometricamente votato all’arma bianca e, sulla scia, i Gattuso, i Fonseca, i Mihajlovic, i Liverani e persino i Pippo Inzaghi del Benevento, alla faccia del neopromosso. C’è qualcosa di più da raccontare.

La sbronza allegra (o disperata?) del pallone coincide con lo sbarco dell’Alieno, la desertificazione degli stadi e conseguente fonica da oltretomba. Una scena che si addice al calcio come il saio di un francescano a un ballerino di mambo. Dicono: il calcio senza tifosi è un corpo senza anima. Al contrario, è un’anima senza corpo. Non c’è calcio senza la sua malattia, senza il corpo ferito o esultante dei suoi tifosi. Un duro enigma per le star del calcio. Ragazzi strepitosamente sani, impeccabilmente protetti, si ritrovano da un giorno all’altro ad agire in un contesto che non riconoscono. Inabissati in un luogo ostile per quanto indecifrabile. Bolla su bolla, sperimentano sulla loro pelle l’orticaria minacciosa di un’astrazione che non è più quella di una comoda esistenza tappezzata di benefit. Come reagiscono? Reagiscono, eccome.

C’è il virus e c’è il suo fantasma. Non si sa quale più contagioso. Il primo attacca i corpi, il secondo infetta le menti. Lo choc del virus è niente rispetto allo choc del suo fantasma. Sinistro questo almeno quanto l’altro. Boccaccio racconta nel suo Decamerone di sette fanciulle e tre ragazzi che, chiudendosi in una villa di campagna, lockdown ante litteram, per sfuggire alla peste dell’epoca, decidono d’inventare un racconto diverso, scandaloso per quanto diverso, a disdire e negare l’orrore del mondo di fuori. Racconti che stanno tra cielo e terra, tra l’amore più cortese e il libertinaggio più sfrenato. L’assedio del nemico invisibile genera angoscia e l’angoscia genera l’euforia del carpe diem. L’impulso alla trasgressione. Meglio perdere e perdersi che difendersi, quando c’è poco da perdere. Non si difende e non ci si difende più, alla malora calcoli, catenacci, tattiche e chiavistelli, ma ci si lascia andare al godimento di una narrazione insieme felice perché consolante e disperata perché irreale.

Senza il corpo dei tifosi, chiusi nella bolla protetta, i ragazzi del calcio s’inventano come i ragazzi del Decamerone un’evasione lirica. Caterve di orgasmi. Un gas esilarante circola per i campi, libera le menti e scioglie le gambe. Il 3 a 4 di Bologna-Sassuolo, il 5 a 2 di Roma-Benevento (ma poteva essere un 8 a 4), il 3 a 2 di Udinese-Parma, tante altre, sono le storie boccaccesche del calcio di oggi. Il libertinaggio sfrenato del pallone, ma anche la sua romantica voglia di darsi una ricreazione felice e incontaminata. Uno spettacolo estremo, fanciullesco, molto fallato, ma finalmente sottratto alla nevrotica masticazione dei tatticoinomani, in cui, si capisce, la felicità è solo un’aspirazione e la trama che scorre subito sotto la superficie un gigantesco e spaventato vaffanculo. 

Il virus destabilizza il mondo e dunque il pallone, in quanto pezzo di mondo. All’orgia dei gol corrisponde il crollo di tutte le gerarchie fissate negli anni. Un blob senza capo né coda, dove non sai più cosa comanda, cosa inizia e cosa finisce. I campionati sono una maionese impazzita. Gli allibratori brancolano. Sassuolo, Aston Villa, Lipsia, Lilla, Real Sociedad si candidano allo scudetto. Nel mucchio informe dei piedistalli infranti, delle cose che hanno perso il loro ordine costituito, sono poche le certezze che restano in piedi. Se il magnifico spreco del calcio boccaccesco confessa la sua angoscia, a salvarci sarà come in ogni epoca che si rispetti la protervia assurda dell’eroe di turno. Se non è l’erotismo, sarà l’eroismo. Di chi, più forte del caos, ostenta il guanto di sfida. Tra i suoi piedi il pallone non è più un oggetto ubriaco, ma materia incandescente, che brucia, determina e cancella. O davvero pensate che quel demonio di Ibra è sulla bocca di tutti per i gol che segna e per le cose che dice?

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