Sognando la pace e la vittoria

Doveva essere la sera di Italia-Macedonia e di Scozia-Ucraina. Si giocherà solo la prima, e forse capiremo quanto sia un privilegio poterla considerare la partita della vita. Ma se pure ciò che ci appare grande è relativo, soffriremo per gli azzurri due volte. Perché li amiamo, e perché in questi giorni anche l’amore porta con sé un retrogusto di vergogna. La Macedonia ci sta di fronte con la sua dignità di piccola sorpresa del calcio europeo. Nelle qualificazioni ha battuto la Germania due a uno, non si chiuderà nel catenaccio perché ci teme, ma perché sa che soffriamo il muro. Dovremo crederci, verticalizzare, puntare sull’uno contro uno di Insigne e Berardi. E dovremo, più di tutto, giocare in undici. Che vuol dire riuscire a servire Immobile, compiere il miracolo di farlo sbloccare in azzurro. Tutto questo con un paio di allenamenti. Troppo pochi per un ct sapiente, che conosce tutti, ma non fa miracoli. Troppo pochi per un Paese che assegna alla Nazionale il compito di riscattare il declino delle squadre di club, e poi alla Nazionale non concede neanche una settimana di ritiro.

In queste condizioni la formula dell’Europeo è un obbligo. Se pure ha scricchiolato in autunno, bisogna sperare che in primavera funzioni. Quando Mancini dice «non abbiamo avuto tempo di provare», non mette le mani avanti. Ma chiede giustamente a tutti, dentro e fuori le stanze della Nazionale, di condividere una scelta e una responsabilità. Gli spareggi che possono rilanciare il calcio italiano o inabissarlo in un letargo di otto anni li giochiamo a modo nostro. Con l’improvvisazione e il genio che pure ci riservano nell’emergenza straordinari scatti di reni. Sono quello che ci serve stasera, ma soprattutto martedì. Perché se dovessimo cadere con la Macedonia, ci sarebbe solo da prendere atto che eravamo in fondo a un pozzo e non ce n’eravamo accorti. In tutta franchezza, ci rifiutiamo di pensare che sia così. La sfida più probabile con il Portogallo sarà invece una partita alla pari. Dove il nostro collettivo dovrà prevalere sulle loro maggiori individualità.

Bisogna contare sullo spirito di Wembley, ben sapendo che non sarà, come accadde nel giugno scorso, un lievito che cresce lentamente in sette partite, ma un piatto già cucinato e tenuto in frigo, da scaldare nel microonde per ingannare un po’ il cliente. Potrebbe anche funzionare. E in ogni caso, così è se vi pare.

Palermo ci metterà del suo. Lo ha sempre fatto con la Nazionale. Chissà se è un caso che il tridente azzurro sia interamente meridionale. Immobile e Insigne incarnano per migliaia di ragazzi di qui il sogno della scarpa d’oro del capocannoniere della Lazio, o piuttosto dell’ingaggio, anch’esso d’oro, del fantasista napoletano in Canada. Berardi ha tutto della Calabria: la sua cruda verità, il talento e il coraggio misto all’umiltà. Puoi giurarci che se la Nazionale passa, sarà lui il nuovo leader che la porta al Mondiale.

Dietro siamo nuovi per necessità. Ma, a ben guardare, Florenzi è partito titolare all’Europeo, salvo poi cedere la maglia a Di Lorenzo per un infortunio. Emerson Palmieri la maglia l’ha presa a Spinazzola e l’ha portata sul podio. Acerbi, Mancini e Bastoni – due dei tre saranno i centrali – a questa scuola sono cresciuti. Che poi è la scuola dei sempiterni Chiellini e Bonucci. A loro s’ispirano.

C’è da avere fiducia. Per calcolo e per necessità. E, più di ogni cosa, per passione. Perché prima o poi anche i signori dei club, i presidenti riluttanti a concedere spazio all’azzurro capiranno che, di tutte le squadre del cuore, la Nazionale è ancora la prima. Senza rubare niente a nessuno. Ma con i suoi milioni di cuori italiani davanti alla tv, a sognare insieme la pace e la vittoria.

Italia-Macedonia, la probabile formazione di Mancini

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