Zaniolo: “Sogno il Pallone d’Oro. Futuro all’estero? Perché no”

ROMA – Nicolò Zaniolo si è raccontato in una lunga intervista al TheAthletic.com, parlando dell’esordio al Bernabeu, della prima convocazione in Nazionale, degli infortuni, del rapporto con Mourinho e dell’esclusione dal Mondiale. Queste le sue parole:

Parlami della tua infanzia e del tuo primo ricordo calcistico…
“Sin da piccolo prendevo a calci ogni cosa mi capitasse davanti e dopo urlavo “gol”. Ho iniziato a giocare a calcio per questo. L’aver avuto un padre calciatore ovviamente mi ha indirizzato molto perché durante il weekend andavo a vedere le sue partite. Mi piacevano molto le partite, lo stadio, le esultanze. Da lì è partito tutto”.

La prima maglia?
“Ne avevo molte di mio papà. La prima che ho scambiato è stata con Modric al Bernabeu per il mio esordio. Lui era in lizza per il Pallone d’Oro e come un bambino gli ho chiesto la maglia”.

Hai detto che tuo padre era un calciatore, ti ricordi una partita in particolare che ha lasciato qualcosa in te?
“Sì, avevo 12-13 anni ed ero andato a vedere Carrarese-Viterbese, una partita di Lega Pro. Si giocavano i playoff se non sbaglio e mio padre fece gol di rovesciata. Esultai come un pazzo, era il mio idolo”.

C’era un coro per tuo padre?
“Ancora oggi a La Spezia quando passa lui gli fanno il coro”.

Com’è la vita a La Spezia?
“Tranquilla, torno poco perché abbiamo sempre moltissimi impegni. Ma quando ho il weekend libero, pochissime volte, torno lì e ho tutti i miei amici d’infanzia e i miei nonni. Mi diverto, torno al passato ed è molto bello”.

Se non fossi diventato un calciatore cosa avresti fatto? Credi saresti andato a lavorare nel bar di tuo padre?
“Molto probabilmente sì. Per motivi sportivi la scuola non l’ho potuta finire, quindi forse avrei intrapreso quella strada lì per poi magari intraprendere un’altra strada”.

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Com’è il bar di tuo padre?
“La città è molto piccola, ci sono due strade principali e in una di queste c’è il nostro bar. Ci sono tanti turisti e il bar è in una posizione strategica, perché attira sia le persone del posto sia quelle che attraccano per vedere la città”.

Avresti mai immaginato di raggiungere questi livelli in così poco tempo? Avevi solo 18 anni quando è arrivata la prima convocazione in nazionale maggiore…
“Non avrei mai immaginato arrivasse così presto, però era il mio sogno e ci speravo. L’esordio al Bernabeu è stato incredibile, il poter giocare contro grandi campioni. Due mesi prima ci giocavo solo alla Play Station. Il giorno della partita invece il mister mi chiese se fossi pronto e io dissi di sì, anche se in realtà non mi sentivo davvero pronto. Ho fissato il soffitto sin dalle 11 di mattina, avevo accanto Fuzato e mi ricordo che pensai a quanto fosse fortunato nel non avere tutta la pressione che invece stavo sentendo io!”.

Il viaggio dall’albergo allo stadio com’era?
“Come un turista che va a vedere Madrid per la prima volta. Quando ho visto tutte quelle persone al Bernabeu vestite di bianco e cantare l’inno mi sono emozionato”.

E dopo il fischio d’inizio?
“Quando l’arbitro fischia pensi solo al campo, a quello che ti dice il mister. Non pensi più alle cose esterne, ma solo a quello che devi fare. Il pre partita è stato emozionante e quando l’arbitro ha fischiato ho solo pensato a godermi il momento, a divertirmi”.

C’era un compagno che ti ha dato un consiglio particolare?
“C’era Daniele, anche Alex, Dzeko. Loro mi hanno rassicurato, non era facile giocare la prima partita in Champions League. Mi hanno detto che se il mister mi aveva scelto per giocare era perché aveva visto qualcosa in allenamento ed ero pronto per farlo. Daniele mi disse di guardare indietro, verso di lui, se mi fossi trovato in difficoltà”.

Dove eri quando Mancini ti ha convocato la prima volta?
“Era un weekend, c’era la sosta ed io ero tornato a La Spezia. Era un sabato, ero con i miei amici a mangiare una pizza e su Sky Sport c’era l’ultima ora con i convocati di Mancini e il mio nome. Pensavo fosse un errore, che fosse l’Under 21. Invece continuavo a leggere il mio nome e poi ho ricevuto la chiamata del team manager della nazionale che mi diceva di andare a Coverciano il giorno dopo per la convocazione. Ero incredulo, ho chiamato subito mio padre in lacrime. Lui non ci credeva, pensava fosse uno scherzo”.

Com’è stato il primo giorno a Coverciano con la nazionale maggiore?
“In nazionale c’è l’usanza di salutarsi tutti insieme, una volta arrivati. Io ero un ragazzino in mezzo a Chiellini, Bonucci, gente importante. L’appuntamento era alle 13, io invece mi presentai un’ora prima perché avevo paura di arrivare per ultimo e di dover salutare uno per uno tutti i giocatori. Avevo paura pensassero “Ma chi è questo?”. Per evitarlo sono arrivato per primo. Poi la sera c’è un’altra usanza per i giocatori convocati per la prima volta, quella di alzarsi dal tavolo per cantare. Mi si era chiuso lo stomaco, alla fine ho cantato “Senza pagare” di J Ax. Mi tremava la voce”.

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Il primo allenamento? Com’è andato?
“Mi ricordo che c’era un torello, con Chiellini in mezzo. Avevo paura all’inizio, poi piano piano è andata sempre meglio”.

Tu hai ricevuto subito grande attenzione. Immagino per un ragazzo così giovane non sia facile gestire la pressione.
“Dal nulla arrivare al top è difficile. A 18 anni non hai l’esperienza e l’equilibrio giusto, rischi di montarti la testa. Io sono stato fortunato perché ho avuto la mia famiglia accanto, i miei amici, mi hanno sempre fatto mantenere i piedi per terra. Mio padre mi dice sempre che non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza. È il mio motto. Ora riesco a gestire meglio i momenti. So di non dover perdere la fiducia nei momenti brutti, ma so anche di non doverne prendere troppa nei momenti belli. È importante avere equilibrio”.

Immagino sia molto difficile a Roma, una città molto esigente.
“Roma è una piazza bellissima, la gente vive di calcio. Quando c’è la partita i tifosi prendono subito i biglietti. È una piazza fantastica, che ti dà tutto. Ma bisogna anche stare attenti, perché dal tutto si può arrivare facilmente al niente. Soprattutto a Roma. Questo è anche il bello del calcio, giochi in una squadra fortissima come la Roma, una squadra che ha una grande storia e se vuoi essere un grande calciatore devi imparare a convivere con le pressioni. All’inizio mi ricordo di aver avuto per esempio pochissimi follower su Instagram, dopo l’esordio era triplicati. Tutte le ragazze mi scrivevano, era cambiata la mia vita. Dopo impari a conviverci”.

E per strada com’è? Riesci a fare una vita normale? Totti durante la pandemia è riuscito a godersi la città grazie alla mascherina…
“Io non sono ai livelli di Totti, ma ovviamente è normale che in giro per la città mi chiedano autografi. Io evito di uscire negli orari di punta, ma la mia vita la conduco lo stesso. Non ho tantissimi vizi, vivo con i miei e vado a cena con loro. La mia vita la conduco tranquillamente”.

Dybala ha detto che fare il calciatore è anche “un paradiso un po’ amaro”, perché è difficile fidarsi delle persone…
“Quando diventi un calciatore affermato e forte ti si avvicinano moltissime persone, perché sei il giocatore della Roma, non perché sei Nicolò e sei un bravo ragazzo. In quel caso è importane avere vicino le persone giuste, quelle di sempre”.

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Dopo campioni come Totti, Del Piero, c’è questa voglia di vedere un nuovo numero 10, una nuova stella del calcio italiano, una promessa. Ci sono state aspettative, come si vive questa situazione e attenzione su di te?
“L’Italia ha sempre avuto grandi campioni, quindi le aspettative sono alte. Quando un ragazzo promette bene è normale ci siano tante aspettative, l’importante è concentrarsi e migliorare. Poi se hai le qualità giuste ben venga, ma non deve essere un’ossessione. Io gioco per divertirmi e per aiutare la squadra. Poi se le persone decideranno che io sarò il nuovo ipotetico numero 10 della nazionale ben venga.
La cosa principale credo sia divertirsi, non perdere l’allegria di andare al campo. Ma questo non è solo un gioco, è un lavoro, è la tua vita e devi dedicarti a questa professione”.

L’infortunio e la ricaduta. Cosa ti ricordi di quel periodo?
“L’infortunio è arrivato in un buon periodo per me, stavo giocando bene e stavo bene. È stata una bella batosta contro la Juventus, ma con l’entusiasmo di voler rientrare subito non è stato così brutto. Mi sono messo a lavorare e sono rientrato in campo. La vera batosta è arrivata con il secondo infortunio. Stavo giocando bene di nuovo, titolare in nazionale, mi sentivo bene. Ed è arrivato il nuovo infortunio, a due mesi dal rientro. Dover ripartire di nuovo è stato difficile. Ho preso la decisione di operarmi da un altro chirurgo, non perché la prima volta fosse andata male, anzi, era andata benissimo. Ma non volevo ripetere le stesse cose e ho preso questa decisione, una mia scelta personale, per avere una riabilitazione diversa. I primi giorni sono stato male, non riuscivo parlare, ero depresso. Con l’aiuto della mia famiglia sono riuscito a rimboccarmi le maniche, a voltare pagina. Oggi penso che quello sia stato davvero un momento brutto, che però mi ha fatto crescere tanto. Prima degli infortuni, per esempio, andavo in palestra perché mi veniva chiesto, ora ci vado perché ne ho bisogno, non riesco a giocare altrimenti. Mi ha fatto crescere molto dal punto di vista professionale e umano. All’inizio, i primi giorni, hai tutte le persone vicino, poi quando passa il tempo anche la gente si allontana e lì devi essere bravo a concentrarti su te stesso”.

Ti sono venuti dei dubbi dopo questi infortuni?
“Io avevo una predisposizione a questo infortunio, che poi con l’operazione sono riuscito a risolvere. Il rischio c’è sempre con lo sport, ma avevo questa predisposizione. Ora sto bene al 100%. Non ho dubbi sulla mia integrità fisica, sto bene e mi sento ancora più forte di prima”.

Il tuo obiettivo di quest’anno?
“Tornare a vivere lo spogliatoio, il campo, le emozioni, le partite, a ritrovare il giocatore. Ci sono riuscito perché ho giocato quasi tutte le partite, non ho avuto problemi fisici. Sarebbe stato da pazzi pensare che dopo due operazioni importanti avessi potuto segnare 25 gol, non è umano. Questo sapevo sarebbe stato un anno di rodaggio, per ritrovare i movimenti. Ora mi sento al 100%, sto bene”.

Cosa mancava di più dello spogliatoio?
“Io stavo male quando andavo al campo, non mi sentivo parte integrante del gruppo. Mi mancava giocare le partite, vincerle, perdere e arrabbiarsi tutti insieme. Piccole cose che ti fanno sentire all’interno del gruppo, che ti fanno sentire vivo. Il gruppo è bellissimo, siamo giovani, ci vogliamo bene. Sono tutti simpatici, vogliamo tutti il bene della squadra. Siamo anche amici fuori dal campo e questo è importante”.

E Mourinho?
“Mourihno è un uomo vincente, un grande mister e motivatore. È venuto qua e giorno dopo giorno, dal primo giorno del ritiro, ci sta insegnando l’unione del gruppo, la mentalità. Ci fa capire che è meglio pareggiare una partita, che perderla. Siamo contenti di averlo e speriamo di vincere qualcosa quest’anno e coronare un sogno che a Roma manca da tanto”.

Cosa ti dice?
“Consigli me ne dà tanti, mi chiede di migliorare la fase difensiva. Lo so anche io, è giusto così e ne ho bisogno”.

Tammy? Com’è?
“Lui è forte, ha fisico, tecnica, tiro, velocità. È completo. Anche lui ovviamente deve migliorare, come tutti, per me è fortissimo. Oltre a fare gol sa vedere il compagno libero, mi trovo molto bene con lui ed è anche una persona fantastica. È stata una bellissima scoperta”.

A Roma c’è una passione pazzesca, è una città speciale per il tifo.
“I tifosi vivono per la Roma e questa passione la sentiamo anche noi. Ti trasportano e ti fanno entrare in campo con una carica pazzesca, c’è una grande differenza quando giochi in casa e quando giochi in trasferta. Speriamo che ci aiutano con il Leicester, ci saranno sicuramente”.

Pensi che qualcosa stia cambiando a Roma? Si vede una mentalità diversa con Mourinho? È così?
“Il mister dal primo giorno ci ha detto che bisognava fare uno step in più e tutti noi ci stiamo provando e ci stiamo riuscendo. Siamo in corsa per la Champions e in semifinale di Conference League. Penso quindi qualcosa sia cambiato, resta questo mese da fare al massimo per fare risultati”.

Cosa vorresti per te nel futuro?
“Vincere trofei, diventare un giocatore ancora più forte. Migliorare in campo, protestare meno, migliorare come uomo e come giocatore”.

Vorresti vincere il Pallone d’Oro?
“Giochi per quello, è il sogno di ogni giocatore. È durissima, ma perché no?

E un’esperienza all’estero?
“Non si sa mai, la vita è imprevedibile. Di certo è un’esperienza che ti forma, che ti fa crescere, entri a contatto con culture diverse. Non si può sapere”.

Uscita dell’Italia dai Mondiali?
“Un bruttissimo giorno, ci abbiamo provato in tutti i modi. Abbiamo sofferto tutti, ma aspetteremo altri 4 anni e ci riproveremo”.

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