Visin, lo sfogo in un post di 3 anni fa: “Quegli sguardi schifati su di me”

IIl 20enne con un passato nelle giovanili del Milan aveva scritto uno sfogo nel 2019: “Ho dovuto lasciare un lavoro perché la gente si rifiutava di farsi servire da me”.

Le prime notizie parlavano di una morte per un malore. Seid Visin, un passato nelle giovanili del Milan, si è invece tolto la vita. Ad appena 20 anni. E le motivazioni potrebbero essere contenute in uno sfogo pubblicato sul proprio profilo Facebook nel 2019 e ripreso dal Corriere della Sera: “Ovunque io vada, ovunque io sia, sento sulle mie spalle come un macigno il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone”.

Adottato a Nocera

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Seid era nato in Etiopia ma era cresciuto in Italia, adottato da una famiglia a Nocera Inferiore. Lo ricorda lui stesso in quella lettera. “Io non sono un immigrato. Sono stato adottato da piccolo. Ricordo che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, tutti si rivolgevano a me con gioia, rispetto e curiosità. Adesso sembra che si sia capovolto tutto. Ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, specie anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche come responsabile perché molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro”.

Dal calcio al calcio a 5

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Seid ha giocato nelle giovanili del Milan e del Benevento e in ritiro condivideva la stanza con Donnarumma. La voglia di tornare a casa l’ha riportato a Benevento nel 2016, prima che Seid dicesse definitivamente addio al calcio professionistico per tornare a divertirsi in una squadra di calcio a cinque, l’Atletico Vitalica.

Abbandonato dai parenti

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Nello sfogo, Seid raccontava ancora: “Quando stavo con i miei amici, mi portava a fare battute di pessimo gusto sui neri e sugli immigrati. Addirittura con un’aria troneggiante affermavo che ero razzista verso i neri, come a voler sottolineare che io non ero uno di quelli, che io non ero un immigrato. L’unica cosa di troneggiante però, l’unica cosa comprensibile nel mio modo di fare era la paura. La paura per l’odio che vedevo negli occhi della gente verso gli immigrati, la paura per il disprezzo che sentivo nella bocca della gente, persino dai miei parenti che invocavano costantemente con malinconia Mussolini e chiamavano ‘Capitano Salvini’. La delusione nel vedere alcuni amici (non so se posso più definirli tali) che quando mi vedono intonano all’unisono il coro ‘Casa Pound”.

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