Vincolo sportivo e multiproprietà: così il mondo del pallone si rifà il look

Addio al vincolo sportivo dal 2023 e proroga della multiproprietà nel calcio italiano professionistico sino alla stagione 2028/2029. Nuove norme e regole, che nei prossimi anni porteranno a cambiamenti radicali e riguarderanno sia i professionisti che il mondo dei dilettanti. E le polemiche abbondano. In particolare, il vincolo sportivo ha diviso in due il mondo dello sport negli ultimi anni.

Da una parte lo “schieramento” degli abolizionisti, capeggiati dall’Associazione Italiana Calciatori e dalle famiglie dei giovani atleti; dall’altra le Federazioni e le società, che rivendicano il ruolo chiave dei club nella crescita dei calciatori e che chiedono pertanto tutele (dicasi contributi finalizzati a ripianare gli investimenti) per evitare di perdere i fiori all’occhiello dei vivai. Il tema è in realtà molto complesso e si protrae da oltre due decenni. Nel 2000 l’AIC ha sollevato i primi dubbi sulla legittimità di una norma che fondamentalmente esiste solo in Italia e che può permettere ai dirigenti di bloccare molti giocatori, costringendoli – nei casi peggiori – all’abbandono agonistico.

Tutto vero, però bisogna pensare ai danni che l’abolizione rischia di causare a molte società. Non è un caso che il Presidente della Federcalcio Gabriele Gravina abbia parlato di un accompagnamento biennale per cancellare il vincolo e che l’entrata in vigore sia stata posticipata (era prevista già nel luglio 2022). Anche perché diversamente molte società avrebbero rischiato di trovarsi senza giocatori, opportunità e soprattutto tempo materiale per riorganizzarsi.

Per quanto poi la riforma del lavoro sportivo garantisca molte tutele e spunti di crescita – tra questi figurano sicuramente la nascita della figura del lavoratore sportivo, l’apprendistato, i premi di valorizzazione –  non è detto che siano sufficienti per garantire alle società di sopperire alle perdite e quindi di sopravvivere. Insomma, bisogna necessariamente evitare che i club possano optare per una soluzione sconveniente per tutti: nessun investimento sui giovani e sulla crescita dei talenti “in casa” e conseguente danno enorme per il sistema calcio.

Differente, ma altrettanto importante, il focus sulle multiproprietà. Una miccia rimasta spenta per anni, prima che si accendesse in maniera rocambolesca con la promozione della Salernitana dalla Serie B alla Serie A, nella stagione 2020/2021. Così, per la prima volta nella storia del calcio italiano, due club con la stessa proprietà (Lazio e Salernitana, entrambe facenti capo a Claudio Lotito) si sono trovati a militare nella medesima serie. Una fattispecie vietata dal regolamento, al fine di salvaguardare la competitività, motivo per cui il club campano ha dovuto cambiare proprietario (il club è stato infatti ceduto all’imprenditore Danilo Iervolino).

Questo precedente ha portato però la Federcalcio a ridisegnare le norme. Addio multiproprietà a prescindere dalla categoria, in prima istanza dal 2024/2025. Una decisione che ha fatto infuriare Aurelio De Laurentiis, diretto interessato con Napoli e Bari. La Figc però negli scorsi giorni ha deciso di dare una proroga complessiva di sei anni, fino alla stagione 2028/29. Una scelta presa per tutelare gli investimenti di chi aveva concluso l’operazione quando ancora era permessa, ben prima che la normativa costringesse a un cambio di piani e strategie. Insomma, il mondo del calcio cerca di adeguarsi ai tempi e di compiere un salto di qualità necessario per avvicinare un’élite europea con cui il gap continua ad aumentare inesorabilmente.

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