Veltroni intervista Peruzzi: «Lazio, Juventus e la lezione della maestra» 

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Veltroni intervista Peruzzi: «Lazio, Juventus e la lezione della maestra» 
© @ Marco Rosi / Fotonotizia

«Ero un “10” ma un giorno l’insegnante chiese alla classe chi sapeva toccare la traversa. E lì la mia vita cambiò…»

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Come comincia la storia nel calcio di un ragazzo di Blera che diventerà un portiere capace di vincere tutto fino a divenire campione del mondo?

«In modo strano. Se sono diventato portiere lo devo alla mia maestra delle elementari. A me è sempre piaciuto giocare con qualsiasi cosa rotolasse. All’inizio ho svolto tutti i ruoli. Tutti salvo quello di difendere la porta. Mi piaceva fare gol e fare il regista. Il mio ruolo favorito era quello di numero dieci, il principe dei ruoli. Mi piaceva fare i lanci lunghi, mostrare i tocchi di classe. Ma scoprii presto che non bastava l’estro, bisognava correre. Non il mio genere preferito. Capitò che dovessimo giocare una partita delle quinte elementari della mia scuola. La maestra, non sapendo chi schierare in porta, ci fece fare una prova: chi sapeva saltare tanto in alto da toccare la traversa della porta avrebbe indossato il numero uno. Fui l’unico. Me ne ricordai, di quel salto e di quella maestra, quando vinsi la Champions League».

(…)

Chi sono oggi i giovani portieri italiani più forti? E non le fa impressione vedere tanti pochi italiani titolari nelle squadre di A e persino delle altre serie? Dai tempi di Combi in Italia c’è sempre stata una scuola di grande livello…

«Per me i migliori sono, ovviamente, Donnarumma, Perin e Sportiello. Ma il problema è che il calcio moderno vuole tutto e subito. E gli allenatori hanno paura a provare, rischiando, un giovane portiere. Aggiunga che esiste ormai un problema di natura tecnica. I preparatori spesso scaricano da internet gli esercizi da fare ma non sono in grado di correggere gli errori tecnici. La tecnica, per un portiere, è decisiva».

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Cosa pensa del campionato?

«Come ormai è ovvio la Juventus è favorita. Vince da cinque anni, l’anno scorso con quella prova di potenza, e si è rafforzata. Subito dietro ci sono Napoli e Roma. L’Inter avrebbe una rosa competitiva ma non so quanto possa fare. Poi Milan, Lazio, Fiorentina».

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Cosa è per lei la lazialità?

«Un atteggiamento soggettivo. Io amo questa società, la squadra, i tifosi. Ho giocato sette anni con questa maglia, abbiamo conquistato una Supercoppa e una Coppa Italia. Una squadra fortissima che non ha vinto quanto avrebbe dovuto. Oggi lavoro per fare il bene dei colori biancazzurri. Lo faccio con il mio carattere e con la misura di un uomo che ama in primo luogo il calcio. Il mio primo tifo è per questo sport meraviglioso».

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