Il tecnico della Sampdoria: «L’olandese voleva portare un’idea filosofica, un’idea estetica ma qui è tutto veloce, a nessuno viene dato il tempo giusto»
ROMA – Marco Giampaolo sorride poco. Mi ha sempre dato l’impressione, guardandolo in tv, di vivere il calcio soffrendo. Di sentire il suo lavoro di guida di una squadra come un dovere in cui capacità ed etica si mischiano, si intrecciano. Non sembra uno di quei protagonisti del calcio che padroneggiano la luce rossa della telecamera come fossero membri organici dello show business. Mi sembra che pensi al pallone come fosse una parte – un misto di agonismo, sofferenza, ricerca, gioia – del suo sentire il mondo. Gli ho chiesto cosa dica ai giocatori che incontra la prima volta quando inizia ad allenare una squadra. Mi ha risposto così: «La prima cosa che faccio è gettare a terra dieci pettorine, quelle da allenamento. Poi dico a un giocatore a caso di scegliere i dieci compagni che dovranno giocare la domenica in campionato. Tutti, ovviamente, si rifiutano di farlo. Mi serve a spiegare fattualmente la difficoltà, la durezza del mio lavoro. E poi dico loro che se sono lì per aggiungere uno zero al conto corrente hanno sbagliato indirizzo. Il calcio è arte. Il calcio moderno è il conflitto permanente tra sacro e profano, tra la bellezza, quasi infantile, del gioco e la ruvidità del business».
Cosa pensa della vicenda di De Boer?
«De Boer viene da un calcio filosofico. Dal calcio olandese si può attingere tanto. Quello è un calcio filosofico, è un calcio estetico, lì c’è una ricerca del bello unita poi al risultato. Io credo che lui probabilmente si sia confrontato invece con un calcio molto tattico, molto attento ai dati a breve. Però quella gente conosce il calcio e credo riesca a capire le dinamiche di un paese diverso, il diverso rapporto tra qualità e risultato immediato che esiste in Olanda e in Italia. De Boer aveva bisogno di tempo, ma in Italia il tempo non c’è. Tutto e subito. Io ho sempre parlato del tempo come il mio primo alleato, non può essere il mio primo nemico perché nella costruzione di un progetto hai bisogno di tempo, hai bisogno di far capire, di insegnare. Altrimenti tutto diventa improvvisazione, tutto diventa giochiamo oggi e speriamo che vada bene. Però il calcio oggi è anche molto veloce perché è profano. Incide molto sul sacro, sulla qualità del gioco, ed essendo molto forte la pressione esterna questa velocità ha bisogno di risultati e allora scattano le scorciatoie. Però le scorciatoie hanno le gambe corte, secondo me».
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