Veltroni intervista Chiellini: «Il 6° scudetto, così entreremo nella leggenda»

ROMA – I livornesi sono un mondo a parte. Sono i romagnoli di Toscana: geniali, un po’ folli, poco inclini alle convenzioni formali, generosi, irriverenti e passionali. Hanno dato, da Modigliani a Ciampi, davvero molto a questo paese. E molto hanno dato allo sport. Un nome per tutti: quello di Armando Picchi. Giorgio Chiellini è nato a Pisa, ma è vissuto respirando l’aria e lo spirito di Livorno. È una persona schietta e diretta. Ed è impegnato in una miriade di attività solidali in campo sociale, cosa rara e bella. In campo non molla mai e gli piace vincere. È un uomo, non più un ragazzo, molto strutturato. Si prepara a una laurea magistrale in economia, ma questo non gli impedisce di sudare ogni giorno in campo con l’obiettivo che sente poter proiettare nella leggenda il nome suo, dell’altro livornese Allegri e dei suoi compagni di squadra: la vittoria del sesto scudetto consecutivo. È questo l’obiettivo che Chiellini fissa per sé e per la sua Juventus.

CALCIOMERCATO LIVETUTTO SULLA JUVENTUS

«Io ho un fratello gemello e, molto piccoli, volevamo cominciare a fare sport. Avremo avuto cinque anni, dieci in due. Io, a dir la verità, avrei voluto iniziare con il basket, il mio amichetto del tempo, all’asilo e alle elementari, ci giocava e io volevo farlo con lui. Però il miniclub di basket del mio quartiere iniziava tardi la sera e quindi, per questa coincidenza, mio fratello è andato a iscriversi al calcio, e io con lui. Ci fecero entrare un anno prima perché eravamo comunque già grandicelli. Ho cominciato così, nel Livorno Nove; nove perché era la circoscrizione dove abitavo. Da lì è cominciata questa mia grande avventura: da un vincolo di orari. Così è la vita».

Lei in che ruolo giocava, da bambino?
«Fino ai quindici anni ho giocato centrocampista centrale ma, in verità, solo perché, già da piccolo, ero più alto degli altri e, in mezzo al campo, questa prestanza fisica valorizza molto. Poi ho cominciato a giocare in fascia, dai tredici ai vent’anni e poi, piano piano, sempre più in mezzo, in difesa».

Lei è un giocatore di grande successo che però non ha rinunciato a studiare. Non è un caso frequente…
«Io avevo studiato, al liceo, con l’idea di fare l’università. Allora non potevo sapere quello che mi sarebbe successo nella vita. Mi sarebbe piaciuto fare medicina, come il babbo, che è ortopedico. Però, finite le superiori e cominciata la mia carriera calcistica, mi rendevo conto di non poter più fare qualcosa che comportasse l’obbligo di frequenza. Ero appena andato via dal Livorno e la Juve mi aveva mandato in prestito a Firenze. Giocavo in serie A, con tutto il carico di lavoro e spostamenti che questo significa. Ma volevo lo stesso portare avanti gli studi, un po’ perché così, in famiglia, sono stato educato e, anche, come sfida con me stesso. Ho scelto economia perché le materie come la matematica mi piacevano, non c’era l’obbligo di frequenza e c’erano argomenti che mi interessavano. Avevo dato un esame a Pisa, ma a Firenze era difficile andare avanti per gli orari e le rigidità della facoltà. Poi sono venuto a Torino e mi sono reso conto comunque che la possibilità di continuare c’era, ho trovato un ateneo con grande disponibilità per gli studenti lavoratori. Non solo per me, ma anche per altri, c’è stata la possibilità di proseguire questo percorso di studi. La triennale l’ho sfumata di poco, perché alla fine ho impiegato quattro anni, ma in fondo ero uno che già giocava nella Juventus, che aveva qualche presenza in Nazionale… Per dirle della sfida con me stesso, io mi sono laureato appena finito il Mondiale… Poi ho rallentato un po’, ho fatto le cose più importanti della vita, ho messo su famiglia, da diciotto mesi abbiamo una bimba. Ma voglio arrivare fino in fondo: lunedì ho un esame, un mattoncione bello tosto, poi un altro a febbraio e a marzo, se tutto va come deve, riesco a finire anche la specialistica. Non potrò metterlo sulla maglietta, ma lo scudetto del mio campionato personale spero proprio di vincerlo».

Come immagina il suo futuro dopo aver giocato?
«Intanto mi piacerebbe rimanere a vivere a Torino, mia moglie è di Livorno però, se devo essere sincero, dopo tanti anni qui, anche lei sta bene e mi piacerebbe continuare a vivere sotto la Mole. Mi piacerebbe fare qualcosa per la Juventus , perché alla fine è stata ed è la mia vita, e a questa squadra continuo a dare tutto me stesso. Però devo dirle che se vivi tutti questi anni come li ho vissuti io, sei totalmente concentrato in quello che fai oggi. E, per stare a certi livelli per tanti anni con l’inevitabile trascorrere del tempo e soprattutto con le pressioni, io debbo mettere ogni energia, ogni impegno fisico e mentale in campo e nella squadra. Per me, quindi il primo domani è oggi. Al resto penseremo quando oggi sarà ieri».

A lei piace leggere. Quali sono i libri più importanti della sua vita?
«A me piace tanto leggere gialli, mi appassionano molto. Da bambino “Il piccolo principe” mi ha iniziato al gusto della lettura. Ora, quando non studio, mi diverto nelle storie nere e gialle: ne ho lette abbastanza, da Dan Brown, a Faletti, a Ken Follett, qualcosa anche di Grisham. Anche se, per esempio Dan Brown dopo un po’ l’ho lasciato, perché in definitiva le storie si assomigliavano troppo e allora, in quei casi, mi piace cambiare».

Con quali suoi compagni di squadra riesce a parlare di più di argomenti extra calcistici?
«Siamo un bel gruppo, siamo stati e ora siamo rimasti un bel gruppo di giocatori italiani con cui ho legato tanto, anche al di fuori del campo. Poi la verità è che non devi per forza avere chissà che titolo di studio per parlare di altro, quindi ogni tanto capita di scambiarsi le idee sui problemi del mondo, ogni tanto capita di parlare dei problemi dell’Italia. Poi magari non si affrontano troppo nello specifico, però quando succede qualche avvenimento particolare o il Paese vive un momento delicato, se ne parla. Ho la fortuna di avere tanti compagni di spessore, a livello umano. E intelligenti e curiosi».

Che cosa è la BBC, al di là della definizione per acronimo?
«La BBC, o forse con Buffon BBBC, è sicuramente un bellissimo gruppo di amici, di persone che, a parte il feeling in campo e fuori, è riuscito ad arrivare a certi livelli perché si è creato qualcosa di magico nel rapporto tra di loro. Perché con tutto il rispetto, non siamo stati o non siamo forse i più bravi al mondo, però insieme ognuno esalta il rendimento dell’altro: questo sì. Poi c’è grande amicizia, una cosa profonda che ci fa condividere tutto. Abbiamo i nostri pregi e i nostri difetti però, quando vuoi bene ad una persona e vivi in un certo modo, non ti soffermi sui difetti ma vedi solo i pregi. In fondo tutti e quattro siamo persone che vivono per quello che fanno e ci mettono l’anima. Se la molla non è la passione e non sono certi valori, persino umani, al risultato ci puoi arrivare una volta per fortuna, ma alla lunga ci si perde».

Quindi non dipende dall’aglio che mangia Bonucci?
«No, no… poi Leo si lava i denti! Dipende proprio dalla passione. Il cuore è l’ingrediente principale, poi c’è tutto il resto: lavoro, qualità, carattere, voglia di vincere, questo sì. Ma senza cuore, solidarietà e intesa, in un reparto in cui si gioca insieme da anni, mi creda, non si va avanti e non si ottengono i risultati che abbiamo avuto».

Quanto tiene al sesto scudetto?
«Da morire! Perché è qualcosa che nessuno ha mai fatto, è qualcosa che davvero ci farebbe rimanere nella leggenda dello sport italiano. È un’occasione per noi chiaramente irripetibile ma credo che veramente, per trovare un’altra squadra che abbia in mano la possibilità di vincere il sesto scudetto, chissà quanto tempo dovrà passare nella storia del calcio. Questa occasione va portata a casa, lo vogliamo tutti e dobbiamo riuscirci».

Domenica sera, un po’ come aveva fatto Buffon l’anno scorso dopo il Sassuolo, mi sembra che lei abbia voluto dare una scossa alla squadra. È così?
«Ma no. Io penso solo di essere stato onesto, sincero. Penso di non aver, alla fine, detto le solite frasi scontate che possono venire in certe occasioni. Dopo una sconfitta si può anche andare in tv e dire siamo primi, siamo belli, siamo bravi o cose del genere. E guardi che ovviamente è pur vero… ma poi bisogna anche avere l’umiltà e l’equilibrio di saper affrontare i problemi quando ci sono e possibilmente prima che diventino più grandi. L’allenatore e noi lo avevamo detto in altre situazioni, solo che poi magari è passato più in secondo piano perché dopo sono arrivate sempre vittorie e risposte sul campo. Però è chiaro che dopo una, due, tre, questa è stata la quarta trasferta di un certo livello che perdevamo. Allora credo fosse giusto fare un punto della situazione, interno ed esterno. Interno l’abbiamo fatto tra di noi e lo continueremo a fare, ma con grande equilibrio e serenità perché stiamo facendo un’ottima stagione, non dimentichiamolo mai. Siamo in linea con tutti gli obiettivi che c’eravamo prefissati, con l’unico piccolo rammarico di Doha. Siamo primi in campionato, abbiamo vinto il girone di Champions, siamo ai quarti di Coppa Italia… Cos’altro, cosa di più? Noi vogliamo arrivare fino in fondo, vincere il sesto scudetto e anche in Champions. Forse per arrivare fino in fondo in Champions e vincere il sesto scudetto ci vuole qualche cosa in più, ma con il lavoro e il gruppo unito com’è, possiamo farcela e comunque ci proveremo fino alla fine. Poi questi obiettivi ti possono sfuggire per un niente come è successo a Berlino o li si può raggiungere come speriamo possa succedere a Cardiff. È il lavoro, è comunque la voglia di sacrificarsi tutti i giorni per raggiungere un obiettivo e mettere la squadra davanti a tutto che fa la differenza. Credo che siano questi gli ingredienti che servono».

Leggi l’intervista completa sull’edizione odierna del Corriere dello Sport-Stadio

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