L’otto maggio scorso, 17 giorni prima che il Manchester United battesse i cugini del City in finale di FA Cup salvando di fatto la panchina di Erik ten Hag da quello che sembrava un esonero ormai inevitabile, il calendario ha scandito l’undicesimo anniversario della fine del Regno lungo 27 anni di Sir Alex Ferguson alla guida del club. Quindici giorni prima di quell’annuncio che avrebbe segnato la fine di un’epoca esaltante, era il 22 aprile 2013, i Red Devils – dominatori del calcio inglese e non solo per oltre un ventennio – battendo 3-0 l’Aston Villa grazie alla tripletta di “The Flying Dutchman” Robin van Persie si erano aggiudicati il ventesimo titolo nazionale.
L’incubo dei Red Devils
Se in quel preciso istante avessimo detto a un tifoso dello United che quella sarebbe stata l’ultima Premier vinta in oltre un decennio di certo ci avrebbe riso in faccia, tanto grande era la sensazione di potenza che il club esprimeva in quegli anni. Eppure, a distanza di 11 anni il popolo dei Red Devils continua ad aspettare quel ritorno sul tetto d’Inghilterra che sembra, però, ancora lontanissimo. E, ironia della sorte, a rendere ancor più amara questa caduta negli inferi è l’imprevedibile ascesa degli odiati cugini del City, quelli che una volta Ferguson aveva definito «un piccolo club, con una mentalità ristretta. Tutto ciò di cui possono parlare riguarda il Manchester United, non possono farne a meno».
City e United: a ruoli invertiti
Tempora mutantur, dicevano i latini. Quel «piccolo club», infatti, da oltre un decennio domina la scena del calcio inglese e ha preso proprio il posto dello United nell’Olimpo delle squadre più forti d’Europa. Ma la domanda che da anni non trova risposta è cosa sia realmente accaduto per ridurre questa gloriosa squadra (non in termini di appeal, che rimane sempre altissimo) a un club di seconda fascia dal punto di vista dei risultati. Eppure, dall’addio di Ferguson il club più titolato d’Inghilterra ha investito sul mercato quasi un 2,5 miliardi di euro nell’acquisto di nuovi giocatori. Il tutto per portarsi a casa la miseria di 6 trofei minori: due FA Cup, due Coppe di Lega, 1 Community Shield e un’Europa League. Di Premier e Champions nemmeno a parlarne. E questo nonostante dall’addio del santone scozzese si siano alternati ben 8 allenatori, di cui alcuni anche importantissimi e vincenti, come per esempio van Gaal e Mourinho.
L’arrivo (e la conferma) di Ten Hag
Due estati fa, dopo i fallimenti di Solskjaer prima e Rangnick poi, dall’Olanda è arrivato Erik ten Hag, l’artefice principale dell’ultimo Ajax dei miracoli: allenatore con idee importanti, e che nei progetti doveva diventare il nuovo punto fermo su cui costruire le future vittorie. E in effetti la prima stagione aveva illuso che le cose potessero realmente cambiare: erano infatti arrivate la qualificazione in Champions e due finali, quella in Coppa di Lega vinta, e quella in FA Cup persa. Poi, però, è arrivato il disastro inatteso della scorsa annata, in cui, vittoria della FA Cup a parte, arrivata fra l’altro all’ultima gara della stagione, è andato tutto male. La squadra di ten Hag ha collezionato una serie di record negativi da museo degli orrori. Tanto che il destino del tecnico sembrava segnato: e invece, il nuovo comproprietario nonché capo unico della parte sportiva, Sir Jim Ratcliffe, ha deciso di concede un’altra opportunità al tecnico.
Inizio deludente in Premier
Il cambio di passo che però ci si aspettava sin da subito non c’è stato (3 sconfitte nelle prime 4 gare di questa stagione), nonostante l’ennesimo mercato importante (oltre 215 milioni investiti) e l’ingaggio di un altro paio di pezzi di quello che fu l’Ajax di ten Hag, De Ligt e Mazraoui, che si vanno ad aggiungere ai vari Lisandro Martínez, Onana, e all’oggetto misterioso da 100 milioni di euro, Antony. Ancora una volta, però, non sembra bastare al “Maledetto (Manchester) United”.
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