Una (ri)carica azzurra: da Kean a Bernardeschi, così Mancini ha riacceso la Juve

La Nazionale a trazione bianconera aiuta la ripresa di Allegri, che riparte da Napoli col blocco dell’Italia e il bagaglio di fiducia costruito con il c.t.

dal nostro inviato Fabio Licari

10 settembre – Reggio Emilia

Solo una sana e consapevole libidine azzurra salva dallo stress del campionato. Federico Bernardeschi con l’Italia sembra un altro. Indossa una maglia con scudetto (come spesso la Juve) e quattro stelle (nel club sono ancora tre), ma colori diversi. E parte leggero di testa e cuore. Il bianconero gli appesantisce le gambe. l’azzurro sfila: dribbling, incroci, tiri, assist. Ha rischiato di perdere l’Europeo, Mancini però l’ha difeso — anche dalla tentazione di lasciarlo a casa — e s’è ritrovato uno che non ha sbagliato un finale di partita. Neanche un rigore quando i duri tremavano. Stesso discorso in queste qualificazioni mondiali. Allegri poteva proporre una terza maglia azzurra per il ‘21-22.

L’Italia di Mancini fa bene a tutti. Alla Juve di più. Bonucci, Chiellini, Locatelli, Chiesa, Kean e Berna: i magnifici sei. Un blocco bearzottiano adattato all’era del turnover. Stanchi forse, ma di quella stanchezza felice. Solo Chiesa ha qualche problema e salterà Napoli per precauzione, niente di drammatico. Vecchio discorso: la nazionali spremono i giocatori, i club se li ritrovano in deficit d’ossigeno, muscoli affaticati o, peggio, infortunati. Ma la testa? Ci si dimentica che il “doping” più forte che esista è là dentro, in quell’universo misterioso. I sei hanno tutti un motivo per andare a cento all’ora a Napoli. Cominciando da Chiellini che sembra un ventenne con i modi del reduce del Vietnam: il migliore è lui, De Ligt non ha ancora preso la laurea alla Harvard University, gli manca l’esame in personalità. Bonucci non è da meno: ha sbagliato qualche appoggio in impostazione, ma è parso insuperabile su azione. Non parliamo poi di Chiesa, uno che entra in campo e parte come si faceva all’oratorio. Vero che finisce un po’ in riserva, ma oggi è il giocatore più decisivo del nostro calcio.

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Meno scontata era la stessa risposta dai nuovi. Eppure Locatelli non sbaglia una partita in Nazionale, sdoppiandosi tra regia e marcatura come forse soltanto De Rossi sapeva fare (e Marchisio a fine carriera). Non avrà Jorginho accanto ma sarebbe folle non valorizzarlo alla Juve. Ancora più sorprendente la risposta di Kean: poteva anche essere bello scocciato dal “taglio” europeo e dalle tribune con Bulgaria e Svizzera. Al contrario, ha spinto in fascia come un martello e segnato due gol con l’entusiasmo di un deb. Kean alla Mandzukic, Locatelli secondo regista con un centrale accanto, Bernardeschi esterno (e non mezzala). Non mancano i suggerimenti.

Non c’è una bacchetta magica, non ci sono poteri extrasensoriali, ma un progetto tecnico-tattico emozionale e scientifico. Tutti nell’Italia sanno cosa fare. E lo fanno divertendosi. Chiunque entri fa parte della “squadra”. Questo nella Juve non si vede da un po’. Mancini è un c.t., lavora da oltre tre anni, ma può insegnare il suo calcio a corrente alternata, marzo, giugno, settembre, ottobre e novembre: eppure l’Italia sembra un club. I tecnici possono martellare i loro uomini ogni santo giorno fino alla nausea. Allegri è tornato adesso. Ha impostato un primo lavoro con Ronaldo che però non c’è più: la penultima eredità di CR7 (l’ultima è nel rosso del bilancio). Di fatto Max ricomincia daccapo. Ha bisogno di tempo, ma il tempo non aspetta. Napoli, Malmoe e Milan in nove giorni. Fin qui, un punto in 180’ e altri cinque persi per strada contro squadre (Udinese, Empoli) con le quali fallire può essere grave: è una stagione con tante pretendenti al titolo e aumenta la forbice grandi-piccole. Se perdi troppo terreno, adiòs.

La Juve ha fatto una ricarica d’azzurro. Napoli non è forse la partita ideale per scaricarla, con i sudamericani in campo ancora ieri notte, ma è la lezione che conta. Ora c’è da lavorare su un sistema. Come il 3-5-2 di Conte e Inzaghi, il 4-3-3 di Pioli, il 3-4-1-2 di Gasperini, il 4-3-3 di Sarri. Non nel senso di bieca tattica: oltre i numeri ci sono uomini e idee. Ma nel senso di progetto, di coordinate precise. Le variazioni sul tema sono indispensabili — soprattutto da uno come Allegri che ha vinto tante partite con letture dalla panchina — ma non possono diventare la regola. Ora c’è un laterale sinistro (Kean) che non fatica come Chiesa e Kulusevski sulla fascia opposta e può proporsi da centravanti. C’è Dybala che ha dato quei segni di “trequartismo” assenti da tempo. Si può ripensare alla formula dei “fantastici quattro” finalista di Champions nel 2017. Un 4-2-3-1 un po’ invecchiato dietro, ma con più soluzioni davanti. Si intravedono Khedira (Loca) e Mandzukic (Kean), manca Pjanic: un ruolo che — con molti forse — potrebbe recuperare alla causa anche Arthur. Dall’Ital-Juve alla Juve-nazionale, perché no.

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