Ulivieri: “Corto muso? La Juve vincente di Allegri giocava un bel calcio”

Avanza la nouvelle vague degli allenatori italiani e il presidente Renzo Uliveri gonfia il petto per l’orgoglio. Li ha visti partire dal laboratorio di Coverciano, li ha messi nei banchi, ha spiegato loro cosa serve per diventare un leader tecnico, tattico, psicologico. Ha insegnato loro, con l’aiuto di uno staff di uomini di calcio d’esperienza, psicologici del pallone, come gestire il ruolo anche e soprattutto quando non tutto va per il verso giusto.  
 
Renzo Ulivieri, da dove preferisce partire per analizzare l’attuale mondo degli allenatori italiani che in questo momento stanno dando lustro a tutto il movimento proponendo un calcio sempre più bello, nuovo, coraggioso? 
«Ecco partiamo dalla… vecchia guardia per parlare della nuova. Non si può infatti non citare Spalletti, Pioli, Allegri e Sarri prima di parlare di Palladino, Thiago Motta, De Zerbi… Sono i più esperti che hanno aperto la strada nella quale si sono inseriti al meglio quelli della nouvelle vague. Il calcio sta cambiando, è cambiato».  
 
In male o in bene? 
«In male non direi proprio. Già andare avanti è importante, non vedo certo regressioni. Se pensiamo a 15 anni fa, oggi ci sono già tante cose nuove. Per non parlare di 30 anni fa quando il calcio era più lento. Oggi la sfida per un allenatore è riuscire a coniugare la tecnica e la qualità con la velocità che ha assorbito ormai il nostro amato sport. In tanti vogliono far palleggiare le loro squadre, ma devono saper coinvolgere tutti quelli che scendono in campo. I portieri e i difensori 20-30 anni fa non erano così coinvolti nel gioco e le squadre avevano anche il mediano marcatore. Adesso in mezzo al campo non trovi chi non gioca il pallone». 
 
Si aspettava che un giovane come Palladino riuscisse ad impattare così sulla Serie A da assoluto neofita? 
«È uno studioso di calcio, approfondisce ogni giorno: lo vedo perché sta facendo il corso. Fa tante domande, è curioso, occhi vispi, sempre attento. Per questo mi sorprende fino a un certo punto quello che sta facendo».  

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Un giorno lei disse che quando sentiva parlare di giochisti e risultatisi le veniva l’orchite, è ancora così? 
«Non riesco a fare questo tipo di divisione, non ha senso. Non l’ho mai fatta e mai la farò. Nel calcio vince sempre chi gioca meglio. Giocare meglio, a casa mia vuol dire fare la cosa più utile per arrivare alla vittoria». 
 
È quello che insegnate a Coverciano? 
«Noi si insegna a praticare il miglior gioco per i giocatori che si hanno a disposizione». 
 
Su Allegri però le critiche si sprecano ancora: è il manifesto del calcio utilitaristico? 
«Massimiliano l’hanno preso sul suo campo, quello che delle parole. Che è poi il campo di noi toscani. Lo capisco quando si arrabbia e reagisce a critiche non meritate. Sta storia del corto muso ha stufato. La Juventus di Allegri che vinceva gli scudetti giocava anche un bel calcio. Non possiamo essercene già dimenticati, suvvia». 
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Che ne pensa della scelta di Pirlo di ripartire dal campionato turco? 
«Era quello che gli serviva, aveva estremo bisogno di fare una scelta così coraggiosa. Alla Juventus aveva fatto bene, ma non sempre poi le cose vanno come vorremmo quindi ben venga questa annata al Karagumruk dove sta anche facendo bene dopo un inizio difficile. Anche questa capacità di ribaltare l’inerzia ti fa diventare un buon allenatore. Il cognome non basta, essere stato un grande calciatore non è sufficiente. Anche se vai ad allenare il Pontedera quando arrivi sei Pirlo, Gilardino, Grosso, ma se perdi tre partite sei comunque un allenatore qualsiasi che ha perso tre partite con il Pontedera e nessuno, giustamente, si ricorda di quello che hai fatto fino a quel momento». 
 
Non crede però che la parabola iniziale di Pirlo, Gilardino, Grosso, Inzaghi sia stata agevolata dall’essere stati campioni del Mondo e poi di conseguenza abbia però condizionato i giudizi dall’esterno alle prime sconfitte? Tutto e niente… 
«Questi ragazzi alle prime sconfitte possono perdere sicurezza, ma io a Coverciano gli dico sempre che un bravo allenatore si vede quando le cose vanno male o non proprio bene. Da lì si riparte e si cresce».  
 
C’è poi chi come Italiano è invece partito dal basso, scalando le categorie e vincendo tutti i campionati…  
«Ognuno ha il suo percorso. Vincenzo all’inizio di quest’anno era finito nel ciclone della critica, ma ha tenuto la barra dritta e adesso è quasi in semifinale di Conference League e la sua Fiorentina è un incubo anche per le big in Italia». 
 
Thiago Motta lo classifichiamo tra gli allenatori della nouvelle vague italiana? 
«Certo, da calciatore anche se è brasiliano ha indossato la maglia azzurra. Poi certo il suo calcio è stato influenzato da esperienze avute anche all’estero». 
 
Grosso sta per tornare in Serie A dopo sole tre partite al Brescia ed aver rischiato di passare come un raccomandato perché aveva segnato l’ultimo rigore ai Mondiali del 2006…  
«Etichette pesanti, ingiuste. Quando è uscito dal corso di Coverciano pensavo avrebbe avuto un percorso più facile per arrivare in A, ma ci arriva adesso nel suo momento migliore e farà bene anche nel massimo campionato dopo quanto dimostrato in B al Frosinone». 
 
Ci stiamo dimenticando di qualcuno? Dionisi, Zanetti? 
«Fanno giocare bene le loro squadre e valorizzano anche tanti giocatori giovani». 
 
La scuola italiana è pronta a sbarcare anche in una grande Nazionale: Ancelotti uomo giusto per il Brasile? 
«Certo che sì. Ha allenato tanta gente di qualità in questi anni, gli manca solo la Nazionale che è da sempre la più qualitativa». 
 
L’Italia si è fatta scappare troppo presto De Zerbi? 
«Il mercato dei nostri allenatori è globale, mondiale, tutti devono essere pronti a tutto. De Zerbi in Premier League sta facendo benissimo, non era affatto scontato per uno come lui che lì non aveva mai allenato. E poi magari tra pochi mesi ci riprendiamo Conte. Io intanto segnalo anche il grande lavoro di Marco Rossi con l’Ungheria e pure Marcolini a Malta. Le Nazionali di tutto il mondo ormai parlano italiano».
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