Tutto su Galindez, il portiere dell’Ecuador che fermò il suo vicino di casa… Messi

È nato e cresciuto a due passi dal campione argentino e per averlo battuto vinse una bici. Poi il trasferimento a Quito e la nazionale: “Resterò per sempre qui”

Battere Messi e vincere una bici. Una bici, esatto, avete letto bene. Una di quelle rosse come la Ferrari di cui vantarsi a scuola, perché quando rifili un paio di gol alla stellina del quartiere te lo puoi permettere. Solo in quel caso.

IL VICINO

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Hernan Galíndez lo ricorda come fosse ieri, e se avesse a disposizione una DeLorean tornerebbe a quel pomeriggio soleggiato di Rosario, in Argentina, per sussurrare qualcosa all’orecchio di Leo Messi: “Nel 2022 giocheremo il Mondiale con due nazionali diverse”. Galíndez è il portiere dell’Ecuador, ha 35 anni e ha la stessa età della Pulga. Dopo una vita nell’Universidad Católica ha scelto di rappresentare la gente di Quito, ma negli anni Novanta abitava a due case di distanza da Messi. “Eravamo entrambi della zona Sud, ci siamo affrontati in tutte le finali. L’ho battuto una volta sola, e ho un bel Dvd che lo dimostra”. Hernan lo conserva come fosse una reliquia. Durante le cene tra amici, a fine serata, ogni tanto si vanta di aver ipnotizzato il Re. “Qui è quando ho neutralizzato il sinistro di mini-Leo…”. Uno con il caschetto, la maglia di due taglie più larga e uno sguardo assente, stralunato, come se fosse appena caduto da una nuvola. In parte è vero: un fulmine, un lampo di genio improvviso. Leo è così, ma quel giorno vinse Hernan. “E il premio fu una bicicletta a testa per tutti noi”. Dieci bambini.

LE MINACCE

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Galíndez, nato a Rosario, rappresenta l’Ecuador dal 2021. Dopo dieci anni di alto livello con l’Universidad ha preso la cittadinanza. “I miei figli sono nati qui, io mi sento ecuadoriano”. Sentimento forte il suo. Domenica scorsa, al debutto contro il Qatar, ha tenuto alta la saracinesca uscendo imbattuto. Oggi pomeriggio avrà di fronte l’Olanda di Depay. Nessuna paura, perché quando si specchia nei suoi guanti vede tutto il suo percorso: il torneo vinto con Messi, la bicicletta, i passi falsi. Se non fosse stato per il suo agente avrebbe smesso più di dieci anni fa. Estate 2010, il Rosario Central è appena retrocesso in B e i tifosi sono furiosi. Hernan ha 17 anni e viene bollato come uno dei responsabili. Lui, suo fratello, sua nonna e tutta la sua famiglia iniziano a ricevere alcune telefonate: “Vattene, sei inutile”, “faresti meglio a non farti vedere”, “occhio a quello che fai”. Minacce di morte, insulti. Andare a fare la spesa diventa difficile. Così interviene l’agente. “Ho trovato una squadra: si chiama Universidad, gioca in B ecuadoriana”. Hernan riflette, pensa. Nel frattempo il suo vecchio amico Leo ha già vinto la Champions: “Faccio un paio di stagioni, poi si vede”. Se ne andrà 10 anni dopo con 400 presenze e persino un gol segnato, realizzato su calcio di rigore nel 2017.

IN AUTOBUS

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Dopo una piccola parentesi con l’Universidad de Chile, l’anno scorso ha vinto il campionato ecuadoriano con l’Aucas, squadra storica con uno stemma particolare: porta il nome di una tribù indigena. Il cuore pende verso le montagne: “Quando smetterò resterò a vivere qui”. Nel 2021, dopo cinque anni di attesa, è diventato un cittadino dell’Ecuador. A giugno ha debuttato contro il Perù. Un viaggio iniziato nel 2011 in punta di piedi. Galíndez dormiva da un amico, prendeva l’autobus per andarsi ad allenare e lavava i completi sporchi di terra da solo, perché il club non aveva le lavatrici. Il tutto dopo scene da film. In una delle sue prime partite ha sentito urlare il suo nome dagli spalti da un tifoso. Quando si è girato l’ha visto battere una sorta di sbarra sulla rete, con gli occhi spiritati. “Ecco cosa ti aspetta se subisci gol”. Solo il primo ricorda con affetto. Lo segnò un ragazzino mancino con i capelli a caschetto e il 10 sulle spalle. Leo.

TIRO CON L’ARCO

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Al netto di dieci anni da ‘portero’ niente male, ha conquistato l’Ecuador in modo definitivo nel 2016, dopo il terremoto lungo la costa che è costato la vita a quasi settecento persone. Galíndez ha distribuito viveri alla popolazione, aiutando chi ne aveva bisogno. “In quel momento ho pensato che non sarei mai andato via da qui”. Tant’è che un futuro a Rosario non è contemplato. Il suo sogno? Aprire un centro di tiro con l’arco e girare il Paese in lungo e in largo, magari con una bicicletta rossa come quasi trent’anni fa. Intanto è al Mondiale e spera di restarci. Ai quarti potrebbe incontrare Messi. Reunion tra vecchi vicini di casa.

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