Tutto il buono con qualche ruga in più

Il patteggiamento con la procura federale, la disdetta del progetto della Superlega e, da ultimo, la conferma di Allegri. Il nuovo corso della Juve poggia su questi pilastri e racconta un realismo che non è una sordina alle ambizioni del club bianconero. Ma piuttosto la convinzione che grandi cambiamenti qualitativi talvolta conseguono a piccoli cambiamenti dei meccanismi regolatori, senza bisogno di continue rivoluzioni il cui effetto è solo quello di azzerare, insieme con gli errori, il buono che si è fatto.

Allegri questo buono lo incarna a pieno merito. Esce da questo controverso biennio con qualche ruga in più, ma anche con una leadership rafforzata dentro e fuori lo spogliatoio. Ha tenuto botta agli incerti di una stagione sui generis, ha ammortizzato le tensioni, non ha mai ceduto alla tentazione di reagire oltre le righe di fronte agli attacchi gratuiti dei suoi detrattori, ha protetto la squadra nei momenti più difficili, e ha portato un terzo posto virtuale che, alle condizioni date, pare un miracolo. Non solo perché molte volte in questo campionato la performance bianconera è stata condizionata da fattori extrasportivi. Ma soprattutto perché il tecnico livornese ha gestito una transizione mal programmata tra la fine di un ciclo e l’inizio tardivo del successivo.

Gli infortuni di Chiesa, Pogba, Di Maria, si sono aggiunti al declino naturale di risorse come Bonucci e Cuadrado, alla insoddisfacente risposta di pedine su cui si era scommesso, come Vlahovic, Locatelli, Paredes e Milik, e all’inevitabile rodaggio dei nuovi talenti come Miretti, Fagioli, Iling junior, Soulé, Barrenechea. Potremmo dire che nella stagione appena trascorsa solo Kostic e Rabiot si sono rivelati all’altezza delle attese.

Da questa radiografia si deve ripartire per programmare il ritorno ai livelli che la Juve merita. Non commettendo più l’errore di voler accorciare i tempi e cedere all’illusione che una squadra di calcio sia come un motore meccanico, in cui basti sostituire i pezzi usurati per tornare ai vecchi risultati. Soprattutto se il pezzo da sostituire si chiama Paulo Dybala. Non a caso la defenestrazione dell’argentino è la fotografi a del buio e dell’azzardo che ha segnato gli ultimi anni del club. Ma questa è un’altra storia.

La congiuntura che ora si apre suggerisce di imboccare senza tentennamenti una strategia di costruzione del valore attraverso la formazione dei talenti. Una strada che Allegri in questi due anni ha già intrapreso, incoraggiato dalla necessità di fronteggiare gli infortuni. Forse non garantirà subito il risultato sperato, che sia lo scudetto o il ritorno nel calcio europeo che conta, ma certamente è la base per ricostruire un ciclo. La flessibilità delle aspettative è prova di maturità e talvolta ha esiti che sorprendono.

Lo ha scoperto il Napoli, che ha dismesso un ciclo scommettendo su un gruppo di giovani e assumendo il rischio di un rodaggio lungo. Il suo scudetto è un premio al coraggio. E un esempio per tutti.

Juve, Scanavino conferma Allegri

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