Toro, Juric pensava di dimettersi: il retroscena dopo la lite con Vagnati

INVIATO A NIZZA – Voleva dimettersi, Ivan. Pensava di dimettersi. Siamo più precisi. Mercoledì notte: Juric si chiedeva che cosa ancora potesse impedirgli di rassegnare le dimissioni. Si sentiva il cuore pieno e lo spirito spezzato in due. Una metà urlava di rabbia, l’altra era affondata. La sintesi era plasticamente disegnata sul suo volto.
Già ore prima a Seekirchen, subito dopo la partita con i ciprioti dell’Apollon Limassol, ci parve più che un’anima in pena. Mancava poco alle 8 di sera. Numero simbolicamente evocativo: lo ruoti, lo posizioni in orizzontale e ti appare il concetto dell’infinito. Però Ivan si stava domandando se fosse già terminato il suo ciclo. Anche alcune nuvolette nel cielo austriaco gli sembravano a forma di forbici.

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I giocatori erano già corsi negli spogliatoi di quel centro sportivo non lontano da Salisburgo. Ivan rimase invece sul prato, per un bel po’. Si mise a camminare lentamente verso la porta del campo più lontana dal fabbricato che sul lato opposto costeggia il rettangolo di gioco. Arrivò in area, si sistemò più o meno nel punto da cui Sanabria, poco prima, aveva segnato di testa il gol vittoria. Era stato bravo anche Rodriguez con quella punizione-cross a effetto. Perfetto schema da palla ferma, provato mille volte in precedenza sul campo d’allenamento di Waidring, sede del ritiro.

Poi si girò su se stesso, Ivan. Alle spalle, adesso, aveva il nulla di una recinzione. Però anche di fronte gli pareva di distinguere poco, pur se lo spazio si liberava in un verde brillante, il colore dell’erba lucida. A un’ottantina di metri, i ciprioti stavano effettuando esercizi di stretching e corsette defaticanti. Dietro di loro guadagnava intanto l’uscita quel centinaio di spettatori che avevano seguito l’amichevole dall’unica tribunetta affacciata sul campo: tra di loro, Davide Vagnati, il dt, ed Emiliano Moretti, il vice. Il Toro aveva appena vinto: 3° successo di fila. Ma anche se avesse perso 10 a 0, Juric non si sarebbe sentito così scosso. Matteo Paro, fido vice, gli si fece accanto: come non capire Ivan? Roba da abbracci prima del The End, in un film americano. Lì nella realtà, in Tirolo, due parole. Silenzi. Altre due parole. Silenzi. Quando poi Juric si sarebbe diretto verso il fabbricato degli spogliatoi, col pullman posteggiato a pochi metri di distanza, e lo vedemmo finalmente più da vicino, pur inavvicinabile, ci colpì il suo inatteso sguardo pesto che sapeva di anima bollata. Da cane bastonato, addirittura.

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La rissa con Vagnati nel parcheggio dell’hotel di Waidring era già andata in scena da parecchie ore. In scena, ma non ancora in onda. Cioè diffuso e linkato a livelli dominanti nel web all’italiana con una progressione che, al confronto, quella geometrica rappresenta il nulla. Il pullman del Torino Fc era in viaggio, quando quel video degli insulti e delle mani addosso tra il dt e Ivan diventò di pubblico dominio senza più confini, con in testa il mondo dei media. Una sassata sul muso avrebbe fatto meno male al Toro: un colpo secco e via. Invece, così: una gogna in piazza per entrambi gli attori protagonisti, senza un sipario da poter chiudere. Nemmeno da altri attori di granata vestiti. La prima reazione ai pieni alti del Torino Fc? Come l’allegato di una mail corposa già di suo per il clamore del contenuto: chi è stato a girare le immagini col telefonino dalla propria stanza in hotel, badando a star nascosto mentre riprendeva la rissa nel parcheggio di fronte? E chi poi a diffonderle in Rete? La stessa persona o un’altra? Agenti segreti immediatamente in azione. Con anche sopralluoghi in loco, a posteriori. Roba da Scientifica sul luogo di un delitto. Un tesserato o un turista austriaco?

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Sempre mercoledì, ma già con vista su giovedì. Interno notte. KuHotel di Waidring. L’ora è tarda quando il pullman arriva a destinazione. Silenzi, parole grosse o pissi pissi, a seconda dei gruppetti che si muovono nella hall. Trillano i cellulari, di continuo, un po’ a tutti. La massa li ha silenziati. «Stiamo per andare a cena, devo spegnerlo, ci sentiamo domani». Cellulari off a tavola: è il regolamento. Peccato che lì nel Torino Fc fosse già saltato tutto in aria dal mattino. E a sera pure in mondovisione. Nel salone si mangia con le orecchie basse. Pure chi ha la coscienza più pulita d’un panno uscito da un candeggio butta sovente gli occhi verso il pavimento: come a cercar formiche. Cosa deve ancora capitare a quel punto di una notte pesantissima per forza senza stelle?

Juric parla di nuovo (anche) con i giocatori. Lo ascoltano e ci dialogano assieme i più importanti. Un gruppone molto turbato. Ivan dice che non ne può più. Che poteva immaginarsi di tutto, ma non un disastro del genere. Rimpianti, pentimento, attenuanti e rabbia si prendono a spintoni nella sua anima: come con Vagnati sotto il sole. I suoi ragazzi migliori commenteranno, a posteriori: «Mai visto così a pezzi». Psicologicamente provati anche loro: per lui. Perché sanno che è un tipo irascibile, dal nervo facile ai salti. Ma sanno anche che è umano, troppo umano. E Ivan aveva comunicato loro: è troppo, a questo punto dico basta, così non si può andare avanti… sono pieno, stracolmo, non ne posso più… questa volta le dimissioni le do per davvero…

Pro memoria. A metà luglio, nel primo incontro austriaco con Vagnati, gli aveva già sibilato provocatoriamente: cosa volete, che mi dimetta? I suoi migliori giocatori (e per migliori non pensiamo solo o tanto ai piedi, ma anche o soprattutto a ciò che hanno dentro al cranio e dalle parti dello sterno) gli si parano davanti: su, mister, per favore, non faccia così, non dica così, non ci pensi neanche, non ci lasci, come facciamo senza di lei, piuttosto le facciamo noi da scudo, ma resti, la squadra è con lei, lo vede in allenamento come la seguiamo, lo ha visto anche questo pomeriggio nell’amichevole… mister… la preghiamo, noi a lei crediamo. Le notti devono sempre passare. Il mattino dopo, Ivan si guardò allo specchio e si scoprì già di più con un volto alla Juric.

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