Torino, lo zero in casa è l’azzeramento di una storia

TORINO – Questo Toro, con Giampaolo o con un altro, potrà forse anche salvarsi – non vediamo come, non capiamo quando, non sappiamo per quanto: ma le vie del pallone e del Signore sono infinite – però di sicuro mai (si) potrà cancellare la pena cui i tifosi granata sono stati costretti ad assistere ieri: increduli; anzi, attoniti. Mai vista una prestazione così vergognosa, considerati il contesto, le premesse, l’avversario (in 10 da subito) e le motivazioni. Mai provato un simile imbarazzo per giocatori che invece, evidentemente, non ne provano. Lo scriviamo con tristezza e sconcerto, ci piacerebbe pensare il contrario, ma non possiamo non considerare come, perfino nelle pieghe di un dramma calcistico del genere, i professionisti schierati con la maglia granata siano riusciti: chi a corricchiare; chi a passeggiare; chi a rimanere per terra invece di rialzarsi subito mentre il tempo scorreva inesorabile; chi a guardarsi attorno in assenza di compagni che si proponessero senza nemmeno il coraggio di provare ad avanzare da solo; chi a darla sempre all’indietro per evitarsi rogne e smistare la patata bollente a qualcuno altrettanto irresoluto se non tremebondo, oltre che scarso; chi addirittura a ridacchiare (Zaza, a pochi minuti dalla fine, inquadrato in primo piano dopo l’ennesimo assalto fallito). E se quel riso era nervoso e non compiaciuto, pazienza: in uno sfacelo simile, non si può ridere. Nemmeno sorridere. Nemmeno per sdrammatizzare. Non si può. Basta. Neppure lo 0-7 con l’Atalanta, ai tempi ancora di Mazzarri, aveva provocato uno sconforto paragonabile all’attestato di azzeramento della storia granata che è stato certificato contro l’ammirevole Spezia di Vincenzo Italiano. Mai – quante volte abbiamo già scritto mai, nel corso di questa stagione e del quindicennio di Cairo? Centinaia di volte, per centinaia di motivi diversi ma tutti sempre riconducibili al vertice del club che ne è insieme l’epicentro – mai, dicevamo, il Toro nella sua storia era riuscito nell’impresa di non vincere una partita nel suo stadio (su 9 fin qui disputate) nell’intero girone di andata. Il Toro che in casa – anche nei suoi anni peggiori, anche in Serie B, anche nelle amichevoli! – ha quasi sempre rappresentato un’istituzione, una garanzia di forza e coraggio, un marchio di fabbrica, un sinonimo di ardore se non di tremendismo.

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Che fosse il Filadelfia, o il vecchio Comunale, o il dispersivo Delle Alpi, chiunque uscisse dalla tana del Toro senza perdere tornava comunque indietro soddisfatto, sollevato, con la sensazione di averla scampata bella o che in ogni caso sarebbe potuta andare peggio.

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Adesso no. Adesso chi non vince in casa del Toro esce dal campo mordendosi le mani, sentendosi quasi uno sprovveduto: perfino i baldi ma decimati aquilotti che, pure in inferiorità numerica e senza il loro uomo più forte (Nzola) fra tante altre assenze, hanno giocato con molta più personalità ed efficacia di avversari ben più rinomati e pagati, giustificando tra costoro l’unico bel voto, al portiere (Sirigu ha scongiurato quantomeno la sconfitta). Vero che una volta c’era la Curva Maratona, che trasmetteva orgoglio e senso di appartenenza al resto delle gradinate comunque vibranti, ma non può essere una scusa. Anzi, stante la personalità dimostrata da questa squadra, nemmeno osiamo immaginare la consistenza delle gambe granata al cospetto dei tifosi, specie se imbufaliti come avrebbero tutto il diritto di palesarsi. Non facciamo battute sul Covid solo perché è morta e continua a morire e ad ammalarsi troppa gente, mentre qui alla fine si parla poi solo di calcio. O almeno, quello si dovrebbe e si vorrebbe fare. Se ci fosse una squadra di calcio. Se ci fosse una società solida, appassionata, strutturata, presente, competente e mortificata come la sua gente. Se ci fosse un Toro, appunto.

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