Tomasson e la lezione del Milan: “Ho imparato tanto da Ancelotti, riusciva a gestire Berlusconi”

Il danese, ora allenatore del Blackburn Rovers, ricorda l’esperienza italiana: “Una squadra fortissima, rifiutai il Barcellona per il Milan”

Dal nostro corrispondente Davide Chinellato @dchinellato

13 agosto – Londra (Regno Unito)

Jon Dahl Tomasson non ha dimenticato. Al Milan c’è rimasto solo tre stagioni, dal 2002 al 2005, eppure quel triennio in una squadra “piena di leader” ha forgiato il suo futuro, come racconta a The Times. Un futuro diventato presente da allenatore, oggi al Blackburn Rovers che prova a riportare in Premier League dalla Championship. Una carriera in panchina cominciata “imparando da come Carlo Ancelotti gestiva Silvio Berlusconi”.

MILAN

—  

Il danese, oggi 45 anni, finisce al Milan nel 2002, dopo aver deciso per la sua squadra di allora, il Feyenoord, la finale di Coppa Uefa contro il Borussia Dortmund. Aveva 27 anni, aveva già fatto un mezzo giro d’Europa partendo dalla sua Danimarca a 18 anni, annunciando ai genitori che avrebbe lasciato la scuola per inseguire il suo sogno di diventare calciatore e imparando sul campo come stare al mondo. “Il Milan in quel momento era la squadra migliore in circolazione: rifiutai il Barcellona per andarci” ricorda. I rossoneri che trovò Tomasson, allenati da Carlo Ancelotti, erano una collezione di campioni. Anche in attacco, dove i concorrenti del danese erano Filippo Inzaghi, Andriy Shevchenko, Rivallo e Hernan Crespo. “Dovevo conquistarmi il posto in ogni partita, e fare i conti con la pressione. Il calcio in Italia è la prima ossessione dei tifosi: è sia la loro religione che la loro moglie. Sono stati tre anni eccellenti, con due finali di Champions League. Nel 2003 l’abbiamo vinta, nel 2005…”.

ISTANBUL

—  

Quel 2005, quel Milan-Liverpool che i rossoneri persero ai rigori facendosi rimontare da 3-0, è ancora una ferita aperta per Tomasson. Anche 17 anni dopo. “Quella partita non l’ho mai rivista e non credo la rivedrò mai – confessa -. Odio perdere, e perdere in quel modo fa davvero male. Ho tanti bei ricordi della mia carriera di calciatore, ma quella sconfitta col Liverpool fa ancora tanto male”. Il danese entrò al posto di Crespo quando il risultato era già sul 3-3, prima del dramma dei supplementari e dei rigori. E Ancelotti gli chiese di andare sul dischetto. “Dovevo fare gol, perché se avessi sbagliato il Liverpool avrebbe vinto realizzando quello successivo. I rigori a quel livello sono davvero uno stress. Per fortuna feci gol. Il Liverpool fece una gran rimonta, ma noi eravamo avanti 3-0… Non sarebbe mai dovuto succedere”.

LA SQUADRA CHE PENSA

—  

Quella finale persa resta uno dei pochissimi punti negativi delle tre stagioni milaniste di Tomasson, con le due finali di Champions intervallate dallo scudetto 2004. Quella era “una squadra pensante”, racconta riflettendo sui tanti compagni diventati allenatori, gli stessi che in spogliatoio erano leader. Filippo Inzaghi, Andrea Pirlo, Jaap Stam, Alessandro Nesta, Shevchenko, Clarence Seedorf, Gennaro Gattuso. A gestire quella “squadra pensante” c’era Carlo Ancelotti, assieme al c.t. della sua Danimarca Morten Olsen quello che più ha influenzato il passaggio in panchina di Tomasson. “Ancelotti gestiva il gruppo in modo incredibile, sempre calmo e assicurandosi che anche le riserve si sentissero coinvolte – ricorda -. Ha fatto un lavoro incredibile con noi. E anche con la proprietà: ho imparato tanto da come gestiva Silvio Berlusconi”. Tomasson è arrivato al Blackburn a giugno, contratto di 3 anni con l’idea di riportare la squadra in Premier League. Usando quelle lezioni che ha imparato al Milan.

Precedente Lazio, progetto Flaminio: Lotito al lavoro sul nuovo stadio Successivo Allegri aspetta tre rinforzi. Juve al lavoro sui colpi last minute