Sulla doppia proprietà di Lotito c’è in gioco la credibilità del calcio

La cessione della Salernitana non dev’essere di comodo, ma effettiva. Quanto a Zhang, dopo il dominio l’Inter non può accontentarsi di un posto tra le prime quattro

Certe cose accadono solo in Italia. In nessun Paese calcisticamente evoluto esistono due club con uno stesso proprietario nella massima serie. Un’abnormità tale che stupisce non sia stata trovata già da tempo una soluzione. Ma quando si tratta di Lotito la strada dritta della trasparenza è sempre la meno praticata. Così, a pochi giorni dalla scadenza fissata dalla Federcalcio (25 giugno), la nostra Serie A ha due club, Lazio e Salernitana, che rispondono a un’identica proprietà. Diciamo subito che la squadra campana si è guadagnata la promozione e che Salerno è una città che merita di giocare nel campionato maggiore.

Qui c’è semmai in discussione un altro principio: Lotito, che ha acquistato la Salernitana per farne un affare e non per passione, ha il dovere nei confronti dei tifosi di non pregiudicare un risultato conquistato sul campo da Castori e dai suoi giocatori. Dovrebbe, come prescrivono chiaramente le norme, cedere le proprie azioni a qualcuno neanche lontanamente a lui apparentabile. Non una cessione di comodo insomma, ma effettiva, reale. Lotito però sembra preferire la scelta del trust, cioè la cessione temporanea del proprio bene a terzi che sono obbligati a gestirla in autonomia. Guardando a come si è regolato con gli obblighi del protocollo sanitario sui tamponi, qualche dubbio sull’autonomia sorge spontaneo. È sorto anche a Gravina, che ha giustamente già chiarito che non accetterà soluzioni opache o pasticciate: gli crediamo.

Una fiducia che d’altronde il presidente federale si è conquistata con i fatti. Basti pensare al recente rinnovamento della giustizia sportiva, punto cruciale per garantire il rispetto delle regole del gioco da parte di tutti. La credibilità di un sistema dipende in larga misura da questo. Il calcio italiano nella post pandemia ha bisogno di crescere: deve recuperare il terreno perduto. Non può più lasciare l’iniziativa a presidenti che, in nome dell’interesse personale, se ne infischiano delle norme condivise e passano il tempo a capire come possono bloccare qualsiasi cambiamento. Sono piccoli imprenditori di relazione: hanno guadagnato nel calcio spazio e soldi che altrimenti non avrebbero mai trovato. Se vogliamo tornare a essere un Paese leader nel calcio, prima di tutto dobbiamo cominciare a essere un Paese serio, che rispetta le regole, non le aggira.

Zhang e l’Inter

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Zhang non ha venduto l’Inter, se l’è tenuta. Come ha sempre sostenuto la Gazzetta. Nell’intervista al nostro giornale il presidente ha spiegato cosa ora intende fare del club campione d’Italia. Lo ha enunciato tenendo il basso profilo, come nella cultura cinese. Ciò non toglie che l’obiettivo di chi vince può essere soltanto uno: continuare a vincere. Questo non significa che poi ci riesca, ma sarebbe un errore partire accontentandosi di un piazzamento tra le prime quattro. L’Inter ha dominato il girone di ritorno collezionando numeri in difesa e in attacco che hanno fatto una differenza enorme con tutte le altre in competizione per il primato. Certo è andato via Conte, allenatore che fa la differenza. Ma la società è rimasta, i giocatori sono rimasti. Ecco, i giocatori. Questo è il punto. Inzaghi deve avere la possibilità di sfruttare l’onda lunga del lavoro di Conte. Per farlo le cessioni devono essere limitate e mirate. La prossima stagione sarà molto più combattuta. Roma, Lazio e Napoli hanno cambiato allenatori e faranno una campagna acquisti per tornare tra le prime quattro. Tenere il basso profilo nelle dichiarazioni è giusto, tenerlo anche nelle ambizioni può essere un errore fatale.

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